“Gli agenti penitenziari sembravano non far nulla, lasciando i nuovi detenuti come me con l’impressione che a comandare realmente non fossero i secondini ma un terrificante gruppo islamista radicale conosciuto come “the Brothers” (“i Fratelli”) o “the Akhi”, che in arabo significa fratello”. Il ministro della Giustizia non riferisce con precisione le cifre, ma il giornale parla di un numero di terroristi interni alla struttura superiore alle ottanta unità (nel 2006 erano una cinquantina) su una popolazione islamica pari a circa il 30% dei detenuti (in altre prigioni della città, come anticipavamo, le cifre salgono di oltre il 10%). Nell’ala in cui era detenuto il testimone in questione, su circa duecento persone, circa la metà erano musulmane, riferisce, con un nocciolo duro di circa venti persone trattate come “celebrit” all’interno della prigione. All’inizio, spiega l’informatore, in quanto musulmano, è stato aiutato, gli è stato offerto sostegno. Dopo, però, è iniziata la propaganda e, di fronte alla sua esitazione, l’isolamento. Niente in confronto al trattamento subito da alcuni detenuti cristiani, fatti oggetto di aggressioni fisiche e maltrattamenti quando l’inferiorità numerica oltre che il potere del gruppo rendeva la cosa a dir poco agevole.
Una radicalizzazione visibile, immediata, che i sei imam del carcere assecondavano o preferivano non affrontare. Una sorta di tacito assenso anche rispetto a chi annunciava, vantandosi, di voler partire per la Siria o l’Iraq. “Tre quarti di chi veniva radicalizzato”, racconta il testimone, “facevano parte di gangs ed erano dentro per crimini violenti o droga. Loro capivano che la gang principale a Belmarsh erano i Fratelli e che avevano bisogno della loro protezione. Ma questo dava anche loro un senso di identità“. “Mi sembrava di essere un intruso in un campo di addestramento jihadista“, commenta esasperato, lamentando la situazione analoga di difficoltà e paura vissuta da altri detenuti di fede musulmana costretti al silenzio anche grazie ad un sistema che, secondo lui, non isolando gli estremisti, ne supporta l’azione di propaganda e predominio. Dopo cinque mesi a Belmarsh, viene spostato ad Highpoint. “Ero là durante gli attacchi a Charlie Hebdo”, racconta. Ed anche lì scene di giubilo in seguito agli attentati. “Il governo”, conclude, “ha speso tantissimi soldi nel programma di prevenzione contro il radicalismo, ma ha ignorato che il più grande campo di addestramento jihadista nel Regno Unito è proprio qui a Belmarsh nel cuore di Londra”.
Emmanuel Raffaele