Tokyo, 27 dic – Giappone e Corea del Sud ai ferri corti. Il motivo ha addirittura a che fare con la Seconda guerra mondiale. Si tratta del fenomeno delle famose “comfort women” (traduzione letterale dell’espressione giapponese ianfu, che poi è sostanzialmente un eufemismo per shofu, che significa prostituta). Seul, infatti, chiede che Tokyo indennizzi 46 donne coreane ancora in vita del vasto circuito di prostitute straniere al servizio dell’esercito nipponico durante la Seconda guerra mondiale, cosa che il Giappone rifiuta di fare.
“La nostra posizione non è cambiata e non ci sarà alcun cambiamento in futuro”, ha detto il ministro degli Esteri coreano Yun Byung-Se alla vigilia di un incontro con il suo omologo giapponese in programma per domani. Per il presidente sudcoreano Park Geun-Hye, la questione delle comfort women è “il più grande ostacolo” alle relazioni bilaterali fra i due paesi. Dal canto loro, i giapponesi ritengono di aver definitivamente chiuso la questione con gli accordi del passato. Sembra, tuttavia, che Tokyo possa comunque istituire un nuovo fondo per le vittime di 100 milioni di yen (830mila dollari), a patto che Seul consideri poi la questione definitivamente chiusa. La Corea, in compenso, chiede un miliardo di yen.
Come se non bastasse, a scaldare gli animi ci ha pensato una statua che ritrae una delle comfort women sistemata, a Seul, davanti all’ambasciata giapponese. Il governo sudcoreano ha detto ai diplomatici nipponici che non si tratta di un’iniziativa governativa, ma di una ong locale. Fonti del governo coreano, tuttavia, fanno sapere che la statua potrebbe comunque essere tolta se si troverà un accordo sulla questione.
Nel 1965, il governo di Tokyo ha pagato 364 milioni di dollari al governò coreano come indennizzo per tutti i crimini di guerra, incluse le ferite procurate alle comfort women. Nel 1994, il governo giapponese ha creato un Fondo Donne Asiatiche (chiuso poi nel 2007) per distribuire compensazioni supplementari a Corea del Sud, Filippine, Taiwan, Paesi Bassi e Indonesia. Ad ogni sopravvissuta è stata consegnata una scusa ufficiale dall’allora Primo Ministro del Giappone Tomiichi Murayama, in cui si può leggere: “Come Primo Ministro del Giappone, io dunque rinnovo le mie più sincere scuse e il [mio più sincero] rimorso a tutte le donne che furono sottoposte ad immensurabili e dolorose esperienze e [che] soffrirono ferite fisiche e psicologiche incurabili nel ruolo di comfort women”. All’epoca, l’attuale primo ministro giapponese Shinzo Abe, come molti politici conservatori, criticò aspramente le scuse, anche se da premier ha molto attenuato i toni.
La questione, del resto, è controversa anche dal punto di vista storico. Se gli storici giapponesi stimano il numero delle comfort women tra le 10 e le 20mila unità, reputando inoltre che esse avessero scelto volontariamente di diventare prostitute e che fossero trattate con umanità, c’è invece chi arriva a moltiplicare le cifre (fonti cinesi parlano addirittura di 400mila donne), a parlare di donne reclutate con l’inganno o con veri e propri sequestri di persona, nonché a narrare aneddoti di stupri sistematici. Tra di esse vi erano donne giapponesi, coreane, cinesi, indonesiane, filippine e giavanesi.
EDIT: Corea del Sud e il Giappone hanno infine raggiunto un accordo sulla questione delle comfort women. Lo ha annunciato il Giappone. Il ministro degli Esteri giapponese Fumio Kishida ha detto che il primo ministro, Shinzo Abe, offrirà le proprie scuse alla Corea del Sud e che Tokyo finanzierà un fondo da un miliardo di yen (circa 7,57 milioni di euro al cambio attuale) costituito da Seul e destinato ad aiutare le anziane superstiti.
Giorgio Nigra