Roma, 22 mar – “Segnalo che siamo di fronte a un fenomeno che assume una portata che non aveva in passato: abbiamo oggi un problema enorme legato alla stabilità e al possibile default della Tunisia, che non si riesce ad affrontare perché l’Fmi ha bloccato la trattativa con Tunisi“. E’ quanto dichiarato ieri dal premier Giorgia Meloni in Senato. Una breve istantanea di quanto sta accadendo in un Paese chiave, soprattutto per l’Italia, del Nordafrica. Parole pressoché ignorate da stampa e analisti distratti, alle prese per lo più con un dibattito surreale sul solito gossip interno. Il primo ministro ha poi aggiunto che il governo sta lavorando “ogni giorno” a un dossier specifico sulla Tunisia e “ne ho parlato ieri con il commissario Gentiloni: la stessa Commissione Ue aveva immaginato a inizio mese di recarsi in Tunisia ma ha rimandato l’iniziativa. C’è l’Italia che fa del suo meglio per cercare di sbloccare uno stallo che non ci aiuta e che rischia di peggiorare drammaticamente la situazione”.
La Tunisia è una bomba pronta a esplodere
Oltre la falla libica, c’è di più. Perché la nazione costiera africana più prossima all’Italia sta sprofondato nel caos, innescato da una crisi economica che va avanti da anni e che si è fatta sempre più allarmante negli ultimi mesi. Il post Covid non è bastato alla Tunisia per risollevarsi, il Paese nordafricano è anzi scivolato in un dramma politico-sociale sempre più cupo, culminato con le dimissioni del ministro dell’Interno, Taoufik Charfeddine, sostituito da Kamal Feki, governatore di Tunisi dal 2021 e braccio destro del presidente Kais Said. Per l’Italia, e più in generale per l’Europa, il dramma tunisino si traduce in una bomba pronta a esplodere da un momento all’altro. Rischiamo, per essere ancora più chiari, un’ondata migratoria senza precedenti. D’altronde già nel primo semestre del 2021, stando ai dati forniti da Frontex, si era registrato un netto incremento dei flussi dalla Tunisia. In controtendenza con il calo verificatosi nel 2020.
Come se non bastassero i continui sbarchi attuali, incrementati dalla “nuova” rotta turca, dalla Tunisia sono pronte a imbarcarsi verso le nostre coste decine di migliaia di persone. Non solo tunisini, perché nel Paese nordafricano in questo momento risiedono circa 21mila clandestini provenienti dall’Africa subsahariana, tutti senza lavoro e senza casa. In una nazione che rischia il collasso economico, i cui confini a Sud sono sempre più porosi, è piuttosto impensabile che si riesca quindi a frenare le partenze potenziali. Si calcola anzi che soltanto nell’anno in corso 53mila persone siano pronte a salire sui barconi dei trafficanti. E’ un campanello d’allarme che non possiamo ignorare.
Impedire il boom di sbarchi
Il 21 febbraio scorso, il presidente tunisino Saied aveva parlato di “orde di migranti irregolari provenienti dall’Africa subsahariana” giunti in Tunisia, portando ” la violenza, i crimini e i comportamenti inaccettabili che ne sono derivati”. Saied l’ha definita una situazione “innaturale”, a suo avviso rientrante in un più ampio disegno volto a “cambiare la composizione demografica” e a fare della Tunisia “un altro Stato africano che non appartiene più al mondo arabo e islamico”. Affermazioni che hanno scatenato una prevedibile bufera, con il Capo di Stato tunisino accusato di razzismo e xenofobia. Fuorvianti polemiche, perché adesso è urgente intervenire in Tunisia per evitarne il default. Al solito servirebbero piani a lungo termine, ma nell’immediato è necessario a livello europeo tirar fuori soldi, molti soldi. Ammesso che si voglia davvero impedire il fallimento di questa nazione nordafricana e il conseguente boom migratorio.
Eugenio Palazzini
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