Questa è la seconda parte di un approfondito contributo sulla situazione politica in Ucraina. Dopo aver tratteggiato il contesto in cui si calano le elezioni presidenziali del 31 marzo, l’autore prosegue analizzando in dettaglio i programmi e le probabilità di vittoria dei tre massimi pretendenti, cominciando qui dal presidente in carica.
Kiev, 27 mar – Petr Alekseevič Porošenko. Cinque anni che è meglio dimenticare. La catastrofica campagna militare nel Donbass, la crescita inarrestabile di dollaro ed euro, che ha ridotto in maniera drastica la capacità di acquisto della popolazione e ha distrutto la nascente classe media imprenditoriale, un’economia in profonda recessione. Il «bezviz», vale a dire la possibilità di viaggiare nei paesi Ue senza visto (uno dei punti di forza del Maidan), si è rivelato una truffa: il visto per i paesi Ue non è più richiesto, è vero, ma al punto di arrivo i cittadini ucraini sono ugualmente sottoposti al controllo delle coperture finanziarie e dello stato lavorativo in patria, in caso è previsto il divieto d’ingresso. Risultato: il bacino elettorale di Poroščenko si è ridotto in maniera drastica, ora è formato principalmente da pensionati, poiché gli Usa hanno permesso al presidente in carica di effettuare la monetizzazione delle pensioni.
Il fallimento di Porošenko
Il roboante manifesto elettorale di Porošenko («Esercito! Lingua! Fede!») e la frammentazione delle forze in gara, che pure è una congiuntura che gioca a favore di Petr Alekseevič, non sono sufficienti a compensare un programma politico poco concreto: messo a confronto con le sfide colossali illustrate all’inizio dell’articolo, tale programma presenta ben poche proposte reali (sviluppo della sfera IT e del turismo, una vaga assistenza sociale, prevalentemente pensionistica) e una proposta geopolitica odiosa ad almeno metà della popolazione (entrata nella Nato nel 2023). La squadra del presidente sa bene tutto questo, per cui ha concentrato la campagna elettorale sui tre dogmi citati, validi per tutte le stagioni: un esercito efficiente e invincibile, una lingua ucraina capillarmente diffusa, una confessione religiosa completamente nazionale e libera dall’influenza del Patriarcato moscovita.
Nella realtà, questa formula si traduce nell’acquisto multimilionario di tecnologie militari antiquate e di scarto dagli Usa, nella sottotitolatura obbligatoria in ucraino di classici del cinema sovietico che tutti in Ucraina – persino nei centri rurali della Galizia – comprendono perfettamente in russo sin dall’infanzia e nella proclamazione, nel gennaio di quest’anno, del Tomos, che sancisce l’autocefalia della Chiesa ortodossa ucraina. Quest’ultimo provvedimento è stato dichiarato da Porošenko una catastrofe geopolitica per il presidente russo Vladimir Putin: in realtà, le conseguenze saranno catastrofiche per la sola Chiesa ortodossa ucraina, poiché il Tomos la isola e la rende una facile preda degli appetiti del Vaticano in Europa orientale. Nemmeno il farsesco Stato di Guerra, annunciato febbrilmente ad elezioni ormai prossime, ha potuto aumentare significativamente l’indice di gradimento del presidente in carica, poiché ha influenzato negativamente un’economia già in gravi difficoltà. Lo Stato di Guerra è stato proclamato per motivi di propaganda: Porošenko ha bisogno di mostrare agli elettori che ha a cuore il destino dei militari tenuti in ostaggio dalla Russia. Per questo motivo, si è cessato di eliminare i giornalisti dichiaratamente russofili o semplicemente indipendenti. Ora li si incarcera con false accuse e li si usa come merce di scambio: è il caso di Kirill Vyšinskij, direttore di Rianovosti in Ucraina, che il potere in carica propone di scambiare con gli ostaggi della Marina ucraina arrestati presso Kerč’. L’assurdità delle accuse rivolte a Vyšinskij è riconosciuta da tutti. Il profitto elettorale derivante da questo abuso è nullo. Purtroppo, negli anni precedenti, alla sorte dei militari semplici si è mostrata solo indifferenza, li si è mandati al massacro a Debal’cevo e all’aeroporto di Doneck: è troppo tardi per mostrare o fingere redenzione. Le uniche figure ad avere meritato il rispetto della nazione nella questione della restituzione degli ostaggi di guerra ucraini sono Medvedčuk e Onufrij, il Metropolita della Chiesa ortodossa ucraina pre-scissionista, ora estromesso perché contrario al Tomos.
Le misure prese negli ultimi sei mesi per aumentare il bacino elettorale non hanno dato, dunque, i frutti sperati, a parte un lieve aumento di appoggio in Ucraina occidentale (prevalentemente russofoba e cattolica), dove il Tomos e lo Stato di Guerra sono stati accolti con maggiore favore che nelle regioni centrali e orientali del Paese. Ma è poco. Poiché il programma di Porošenko non è in grado di prospettare nessuna reale soluzione per un periodo così delicato e travagliato. Né in politica interna, né in quella estera, dove si rimane fossilizzati su una russofobia sistemica e ad un’acquiescenza, altrettanto sistemica, ai dettami Usa, Nato e Ue. In una cosa, tuttavia, dobbiamo dare merito a Petr Alekseevič: sin dall’inizio della sua presidenza, ha sempre insistito sul fatto che non bisogna toccare la classe imprenditoriale media. Capiva che chi perde il controllo di questa classe, perde il controllo di tutto e si riduce a elemosinare voti ai pensionati. Ma Porošenko è servo degli Usa. E gli Usa vogliono un dollaro forte e classi medie pressoché inesistenti in tutti i paesi che infiltrano. Porošenko è vittima di un gioco più forte di lui.
Le incognite
Quante probabilità ha Porošenko di essere riconfermato presidente? Gli ucraini, che non hanno perso il loro mordace senso dell’umorismo, dicono: «Nessuno vota per ‘Petja’, eppure anche i cani sanno che vincerà le elezioni». Con questo si intende che molti temono la possibilità di brogli elettorali o di un colpo di Stato attraverso il Servizio di Sicurezza (Sbu) e la Procuratura Generale, rimasti fedeli al presidente, o la compiacente indifferenza (se non l’aiuto) dell’Impero Atlantista e delle sue colonie europee, che vedono in Porošenko l’unico politico disposto a continuare il corso necessario a Washington. Anche la Timošenko, russofoba feroce per convenienza, potrebbe andare bene agli atlantisti (Avakov è, al momento attuale, il maggior referente statunitense in Ucraina), ma il piano di risanamento sociale che propone (molto più composito di quello di Porošenko) risulta scomodo al Congresso statunitense: ripetiamo che la Timošenko è famosa per fare promesse demagogiche che mai mantiene, ma il Congresso non vuole ugualmente rischiare di spendere dollari per piani sociali destinati a carne da macello.
Il timore degli elettori sembrerebbe comunque infondato, a giudicare dalla posizione di A. Avakov, ministro degli Interni ucraino. Costui mostra un’attitudine oscillante tra la neutralità e l’aperta ostilità nei confronti dell’attuale presidente. È un’attitudine che tutela, senza dubbio, dalla minaccia di brogli o di un colpo di Stato per impedire la conduzione delle elezioni. Se la minaccia viene da Porošenko, naturalmente. Se invece viene dalla Timošenko, di cui Avakov è alleato insieme alla Guardia Nazionale, è tutto in forse: la Timošenko, rosa dall’ambizione e dall’avidità, difficilmente accetterà la sconfitta. Il rischio di un colpo di Stato (cioè, di un ennesimo Maidan) proviene, in realtà, solo da lei.
La mano della Nato in Ucraina
La posizione di Avakov suggerisce, inoltre, un fatto molto importante: tutelando elezioni oneste, il ministro degli Interni non crede nella vittoria di Porošenko, per cui non intende compromettersi né con gli Usa né con gli altri candidati, sperando di poter essere risparmiato dall’egemone atlantista dopo la ratificazione del nuovo potere. Un indizio ancora più illuminante sulla futura sorte politica di Porošenko è dato dall’ultimo provvedimento del presidente stesso. Il suo canto del cigno. Il 7 febbraio, il parlamento di Kiev ha approvato nella propria Costituzione (con 334 voti contro 35 e 16 assenti) l’impegno ad entrare ufficialmente nella Nato e allo stesso tempo nell’Unione europea. Difficilmente l’Ucraina verrà accettata nella Ue, mentre sul piano internazionale il Paese è già di fatto nella Nato, di cui è partner. Notizia importantissima, naturalmente taciuta dalle cricche accademiche e mediatiche occidentali. L’inclusione di questo impegno nella Costituzione rende infatti l’ingresso nella Nato un obbligo ormai inevitabile.
Indipendentemente dalle gravissime implicazioni di questa misura (la Russia viene accusata dagli atlantisti di aver annesso illegalmente la Crimea e di condurre azioni militari contro l’Ucraina, per cui gli altri 30 membri della Alleanza, in base all’art. 5, sono vincolati ad «assistere la parte attaccata intraprendendo l’azione giudicata necessaria, compreso l’uso della forza armata»), non è difficile vedervi la disperazione di Porošenko: se Petr Alekseevič non fosse convinto di non aver speranze di vittoria, non avrebbe preso una decisione così importante al termine del suo mandato, l’avrebbe piuttosto implementata in maniera molto più sistematica e ferrea nel suo secondo termine. Ma Porošenko sa che difficilmente ci sarà un secondo termine, e nessuno può dire se il futuro presidente sarà sufficientemente folle o criminale da condannare l’Ucraina al destino preparatole nella Nato. Assolvendo diligentemente a quest’ultimo ordine atlantista, Porošenko spera nella protezione di Washington dalle rappresaglie della Timošenko o di Igor’ Kolomojskij che, come vedremo, svolge in queste elezioni un ruolo fondamentale, pur non essendo candidato.
Marco Civitanova
Continua…
3 comments
Questo articolo è una bugia mai vista!!! Vergogna ! Giornalisti tipo questo peggio di Juda, si vendono senza scrupoli.
Sono Ucraina e so benissimo come vanno le cose. Poroscenco è il migliore presidente mai stato in Ucraina! E non ho paura di dire, anche in Europa moderna!
Cara Natali,Gentile Natali,
mi spiace molto che l’articolo non sia stato di suo gradimento. Detto questo, non so proprio a chi dovrei essermi venduto, dal momento che ho scritto l’articolo gratuitamente e sono italiano. Come lei ben sa, in Italia si vendono solo i giornalisti della stampa allineata, poiché solo nella stampa allineata girano i soldi. E la mia posizione è diametralmente opposta a quella della stampa allineata. Il mio giudizio è dettato unicamente dal buon senso, poiché un ottimo presidente nei sondaggi difficilmente ottiene solo il 17% di appoggio dopo cinque anni di attività. Sia in Ucraina che in Europa moderna. Tra l’altro, se fossi realmente venduto, non avrei specificato che i sondaggi possono essere inattendibili. Il mio giudizio, inoltre, si regge su raggiungimenti dell’attuale presidenza ucraina che sono visibili a tutti.
Del resto, con il voto di dopodomani gli stessi ucraini decideranno se Poroshenko è il miglior presidente mai stato in Ucraina. Io mi sono limitato ad esprimere il mio punto di vista, vivendo in un paese democratico. E, se mi sono sbagliato, me ne scuserò. Cordiali saluti.
Gentile Natali,
mi spiace che l’articolo non sia stato di suo gradimento, ma lei stessa concorderà che il migliore presidente dell’Europa contemporanea difficilmente può ottenere solo il 17% di appoggio elettorale nei sondaggi. In ogni caso, dopodomani gli elettori ucraini mostreranno se lei ha ragione.
Cordiali saluti.