Autolesionismo? Ingenua sincerità? Il sospetto è che sotto ci sia dell’altro. E’ vero infatti che Trump ha vinto – e nessuno, anche fra i sostenitori dei Democratici sembra voler credere a brogli – ma la sua vittoria è da ascriversi ad una attenta campagna che ha privilegiato le zone che, proporzionalmente, attribuiscono più grandi elettori. In questo modo, grazie ai delegati, il candidato del Partito Repubblicano ha ottenuto la nomina a presidente pur con due milioni di voti in meno. Si tratta del cosiddetto “voto popolare”, che già nel 2000 fu fatale ad Al Gore.
Trump vuole dunque il riconteggio per vincere anche su questo fronte e massacrare moralmente la Clinton? Niente di tutto questo. Se mai, la sua è una risposta agli strani movimenti che in casa della sua sfidante stanno prendendo piede in questi giorni. Il tutto è partito da Wisconsin, stato che ha arriso al tycoon newyorchese, dove la candidata dai Verdi Jill Stein ha richiesto ed ottenuto un riconteggio dei voti. Proposta che, dopo un iniziale tentennamento, è stata appoggiata ufficialmente da Hillary Clinton. Non si esclude, a questo punto, che il riconteggio possa essere esteso anche ad altri stati.
Ad oggi, visti i margini di vittoria, il presidente eletto sembra poter dormire sonni tranquilli. Il rischio di vedersi una spada di Damocle pendere sulla testa comunque c’è, ed è per questo che Trump comincia a preparare le contromosse, apparentemente assurde ma in realtà necessarie per non farsi trovare impreparato qualora dal Wisconsin arrivassero brutte notizie.
Nicola Mattei
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