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Dalla "Via della Seta" ai porti: in Cina l'economia è un'arma

by La Redazione
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Roma, 8 dic – Il premier cinese Xi Jinping ha annunciato nel 2013 un importante progetto: la ricostruzione della storica “Via della Seta” che collegava – due millenni fa – Europa e Asia attraverso una rete di rotte commerciali. Con il nome di “New Silk Roads” o progetto “One Belt, One Road” (OBOR), la Cina ha come obiettivo quello di ricollegare l’Asia a livello economico con l’Europa attraverso lo sviluppo di infrastrutture che coinvolgeranno 70 Paesi.
Naturalmente il progetto si concretizza una postura offensiva a livello economico che possiamo individuare  in quattro obiettivi .
Innanzitutto, queste nuove rotte consentono di aprire la parte continentale cinese. Se la costa orientale è economicamente ben sfruttata, la Cina occidentale è ancora in difficoltà, soprattutto a causa di questo isolamento.
In secondo luogo, attraverso questi investimenti Pechino vuole rendere la regione instabile dello Xinjiang dipendente a livello economico.
In terzo luogo, la Cina intende perseguire una egemonia economica in una ottica di proiezione di potenza sul continente asiatico attraverso queste nuove rotte, che le consente di “contenere” i principali concorrenti regionali dell’economia, in particolare l’India e la Russia.
Infine, le strade verso l’Europa non soddisfano il semplice ruolo di  canali di comunicazione poiché consentono alla comunità cinese di stabilirsi su terre economicamente ricche di cui ha bisogno la sua popolazione in crescita.
Al di là degli investimenti che saranno destinati a crescere, la Cina nella sua politica offensiva sta utilizzando in modo efficace l’arma economica. In questo contesto di espansione del progetto “One Belt, One Road”, il fu celeste impero ha concluso nel 2013 un accordo speciale con il Pakistan per lo sviluppo di una partnership all’interno del “Corridoio economico Cina-Pakistan” (CPEC). Gli investimenti in questo settore sono stimati intorno ai 65 miliardi di dollari. Originario di Kashgar, nello Xinjiang, questo corridoio attraversa il Kashmir e scende verso la costa pakistana attraverso Islamabad. A sud, il progetto porta a due porti: Karachi ad est ma soprattutto Gwadar ad ovest. Il porto di Gwadar è in una posizione eminentemente strategica per la Cina. È interessante innanzitutto come tale: situato in acque profonde, Gwadar è in grado di ospitare navi di grandi dimensioni. Ma si apre anche al Mar Arabico e quindi facilita l’accesso alla costa africana visto che è posizionato in un’area in cui passa un quinto delle risorse petrolifere mondiali. Allo stesso tempo, è favorito anche l’accesso allo stretto di Ormuz, al canale di Suez e infine al Mediterraneo. Il significato strategico del porto pakistano è quindi considerevole per Pechino. Non è quindi un caso che Gwadar sia conosciuta come la “nuova Dubai”. Ebbene, se i leaders  politici pakistani hanno più volte manifestato il loro interesse per questo progetto, è perché sperano di trarre vantaggio dai flussi economici e finanziari in arrivo benchè allo stato attuale  la ricchezza  generata dal progetto favorisce la Cina piuttosto che il Pakistan.
La sfida globale di queste nuove strade della seta per la Cina è di mantenere e consolidare il suo obiettivo senza interruzioni. Tuttavia il confronto è chiaramente di natura asimmetrica. Infatti da un lato, il potere cinese è sostenuto dalle autorità politiche pakistane ma dall’altra lato la Cina gioca sulla dipendenza economica del Pakistan e, forse, anche sulla corruzione delle élite. Se queste scelte strategiche sono possibili in Pakistan in altri stati come India, Russia o nei paesi occidentali la sfida per Pechino sarà maggiore. Quali sono gli insegnamenti che possiamo trarre da questa vicenda? Diversi certamente e fra questi il ruolo determinante delle infrastrutture portuali per il raggiungimento della strategia cinese, la sinergia tra stato e imprese favorita dalla natura autoritaria del regime e il ruolo centrale dell’egemonia economica per una politica di potenza efficace.
Giuseppe Gagliano

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