Vienna, 2 nov – A pochi giorni della conclusione dell’incontro di Vienna sulla Siria, risultano chiarite le posizioni dei partecipanti e le loro intenzioni sulla pace o la guerra.
In apparenza, si pensava ad una coalizione anti-Isis (Lo Stato dell’Iraq e del Levante, o Daesh, ndr), e si sono fatti passi avanti sulla crisi siriana in generale e anche in merito alla più grave tragedia umanitaria che stiamo vivendo, quella dei profughi.
Secondo Talal Salman, direttore dell’autorevole quotidiano Assafir, «il passo positivo riguarda il fatto che tutti gli attori regionali abbiano accettato di sedere allo stesso tavolo, e che l’incontro si sia concluso senza rotture e con una base minima di intesa. Ma non sono passati che pochi giorni, e ancora si nota la schizofrenia degli Stati che continuano a sostenere i gruppi armati, come la Francia, ex Paese coloniale della Siria, il Qatar, l’Arabia Saudita e la Turchia, che aggiungono anche che il presidente Assad deve andare via. Credono di avere il diritto di chiedere chi deve rimanere e chi deve andarsene.»
Salman ribadisce che «così questi Stati, amici degli Stati Uniti, intendono con la loro follia far saltare gli stessi sforzi compiuti dagli statunitensi, a partire dal Segretario di Stato Kerry, nonché gli sforzi del capo della diplomazia russa Lavorov. I due leader hanno avuto un ruolo costruttivo per assicurare la disponibilità dei rispettivi paesi, che stavano su posizioni aspramente contrapposte, di accettare almeno di discutere.»
Il ministro degli Esteri saudita ritorna in campo attaccando la Repubblica Islamica dell’Iran per il suo sostegno alla Siria e ribadisce che non ci sia posto nel futuro scenario per il Presidente Bashar Al-Assad.
Nella conferenza Stampa conclusiva, sia Kerry che Lavrov hanno ribadito il principio che il futuro del nuovo presidente dipende dal popolo siriano, malgrado le differenze siano rimaste, in particolare sulla portata del futuro del presidente Assad.
Il dramma di Vienna sta non solo nelle posizioni estremiste dei Paesi dei petrodollari, ma nell’assenza del ruolo dell’Unione Europea. La UE infatti è stata esclusa dai negoziati internazionali a Vienna per risolvere il conflitto in Siria, anche in veste di osservatore. Era già stata esclusa dagli precedenti incontri.
Questo fatto grave non dovrebbe suonare come un campanello d’allarme per gli europei? Forse nel prossimo incontro l’Unione sarà presente per prendere atto dei risultati dell’accordo raggiunto tra gli USA e la Russia, ma non passerà alla cassa per riscuotere nulla, in particolare per quanto riguarda la ricostruzione della Repubblica Araba Siriana. Anzi dovrà tirare fuori i soldi, e il liquidò andrà al mulino dei Grandi.
La stampa mediorientale nota che l’UE non ha alcuna posizione chiara sulla Siria ed ha anzi un ruolo ambiguo. Questa indeterminatezza della UE sulla Siria è anche una delle cause dell’afflusso massiccio dei profughi siriani. «Il terrorismo non manda solo un messaggio interno, rivolto alla Siria, ma un monito alla comunità internazionale, in particolare agli Stati Uniti e all’Europa.» scrive Scarlette Haddad sul quotidiano libanese “Orient Le Jour”. La quale ricorda la distruzione dell’arco di trionfo di Palmira, vestigia di epoca romana di almeno duemila anni: «i miliziani hanno polverizzato il monumento finora conservato all’interno di un’area che, se resterà ancora lungo nelle loro mani, è destinata a essere “condannata”, non é più un bene comune dell’umanità».
Malgrado tutto ciò, la stampa araba considera positivo l’incontro tra il ministro russo degli Esteri, Sergei Lavrov, e il segretario di Stato USA John Kerry. «Un fatto positivo la costituzione di una larga coalizione anti-ISIS. Positiva è la presenza del ministro turco degli Esteri Feridun Sinirlioğlu, del segretario di Stato Kerry, del ministro degli Esteri dell’Arabia Saudita Adel al-Jubeir e del ministro russo degli Esteri Sergei Lavrov”» scrive il primo quotidiano libanese “Annahar”.
Dall’inizio dell’operazione militare russa in Siria, il primo incontro tra Lavrov e Kerry si è tenuto a Vienna il 23 ottobre. Al termine di un faccia a faccia a porte chiuse,alla discussione si sono aggiunti i capi dei Ministeri degli Esteri di Arabia Saudita e Turchia. In entrambi i casi si è parlato del processo di regolazione e della creazione di una larga coalizione anti-ISIS.
Dalle dichiarazioni del recente incontro, come detto, non vi sono stati accordi in merito all’uscita del Presidente Bashar al-Assad.
Il Libano era presente, rappresentato dal ministro degli Esteri Jubran Bassil. Una fonte sicura del suo gabinetto ci informa: “uno dei principali punti di disaccordo riguarda la sorte del Presidente siriano. La variante più realistica è quella di lasciare momentaneamente questo tema in secondo piano e di concentrarsi piuttosto sulla lotta al terrorismo, in presenza di una volontà politica, la questione di Assad è pienamente risolvibile”.
Ma molti esperti parlano anche di una certa ambiguità americana. Lo rilevano anche certe figure di religiosi: l’Arcieparchia siro-cattolica di Hassakè-Nisibi attacca la politica estera di Washington. Secondo Monsignor Jacques Behnan Hindo, alla guida dell’Arcieparchia, i raid russi degli ultimi giorni sono stati efficaci contro lo Stato Islamico dell’Iraq e contro al-Sham,che ora batte la ritirata da alcune zone. Operazioni statunitensi «solo di facciata,in realtà hanno lasciato liberi di agire i jihadisti»,come conferma la vicenda del rapimento dei cristiani, per i quali aumentano i timori di esecuzioni di massa.
Il vescovo di Hassakè-Nisibi vive egli stesso sotto la minaccia ISIS: «Si trovano a meno di tre chilometri dalla città – racconta – un mese fa una loro offensiva è stata respinta e hanno ripiegato nei dintorni della città. Nelle ultime due settimane, grazie anche agli attacchi dei russi, hanno cominciato a ritirarsi».
Bisogna ricordare che ben 190 religiosi cristiani sono nelle mani dell’ISIS e vi è il rischio che possano essere vittime della vendetta dei terroristi.
La Russia, intanto, continua le operazioni militari in Siria con ottimi risultati. Forse l’Europa non si accorge della minaccia terroristica, ma Russia, Cina, Egitto, Siria e ora anche la Giordania sono consapevoli.
Sotto gli occhi degli alleati il grosso delle esportazioni di contrabbando di petrolio viene realizzato dal gruppo terroristico dell’ISIS attraverso il territorio del Kurdistan iracheno e della Turchia con la connivenza delle autorità locali.
Ci sono complici dai Servizi turchi dello Stato dell’Iraq e del Levante , guadagnano molti soldi con queste attività. La Turchia è un alleato degli Stati Uniti e un membro della NATO da 60 anni. il che forse spiega questo silenzio. Il governo turco esclude, forse il Governo non é coinvolto in via diretta, ma elementi corrotti dell’esercito turco e delle amministrazioni regionali nel sud-ovest della Turchia sono coinvolti in questo giro.
Secondo quanto si stima, l’ISIS ha ottenuto 1 miliardo di dollari dopo l’occupazione di alcune banche e guadagna dalle vendite di petrolio da 40 a 50 milioni di dollari al mese, con introiti annui pari a 500 milioni di dollari.
Qualunque cosa si dica, alla fine la situazione sarà determinata dalla forza dei giocatori sul terreno.
Il governo iraniano resta fermo nel sostenere il presidente siriano Bashar al-Assad. La delegazione iraniana ha smentito,in particolare, le dichiarazioni attribuite al vice ministro degli Esteri, Hossein Amir Abdollahian,il quale, secondo alcuni media,avrebbe detto che Teheran sarebbe stato favorevole all’idea che Assad cedesse il potere tra sei mesi.
A cura di
Alberto Palladino
Bogdana Ivanova (Mosca)
Mohamad Kheir (Damasco)
Talal Khrais (Beirut)