Roma, 02 nov – La settimana scorsa si è chiusa con un bel regalo di quindici miliardi dell’Unione Europea alle banche elleniche.
Se qualcuno pensava che questa somma sarebbe stata destinata ad investimenti di lungo periodo, dovrà ricredersi. Infatti, questa bella somma andrà a finire nelle casseforti di quattro banche: Alpha Bank, Eurobank, Piraeus e National Bank of Greece. La più fragile si rivela Piraeus Bank, che potrebbe essere costretta ad un aumento di capitale vicino ai 5 miliardi di euro. Per la National Bank of Greece, la maggiore banca greca per asset, il buco è di 4,6 miliardi; per Alpha Bank di 2,7 miliardi e per Eurobank di 2,1 miliardi. Questo provvedimento è stato comunque provvidenziale. I Greci, infatti, così hanno evitato l’applicazione del bail-in, la direttiva dell’Ue che prevede dal primo gennaio prossimo in tutta Europa in caso di salvataggi bancari con soldi pubblici, che per l’8% delle passività siano chiamati in causa prima gli azionisti, i creditori senior e anche i depositanti non garantiti sopra i centomila euro. La Grecia, insomma l’ha scampata bella. L’haircut dei depositi non garantiti avrebbe colpito le Pmi greche che usano quei soldi per pagare stipendi e fornitori.
In realtà il cosiddetto bail-in non riguarderà solo Atene. A partire dal prossimo anno sarà operativo in tutta l’Eurozona.
Qualcuno potrà pensare che è un bene che i contribuenti non debbano più pagare di tasca propria gli errori dei banchieri. In più c’è una sorta di progressività: prima pagano gli azionisti, poi gli obbligazionisti, ed infine i correntisti sopra i centomila euro. Un provvedimento, dunque, che all’apparenza riguarda soli i big della finanza. Basta spostarsi dal Belgio alle Marche per capire che le cose non stanno esattamente così. Vediamo perché.
In questi giorni si è parlato di quattro istituti di credito italiani a rischio fallimento. Si tratta della Banca delle Marche, la Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, la CariChieti e la Cassa di Risparmio di Ferrara (Carife). La prima, in particolare, ha bisogno di circa 1,2 miliardi. Si tratta di un istituto che non è capace assorbire perdite per oltre 1 miliardo di euro ed a causa della sua incapacità a raccogliere fondi sul mercato. È una Banca che raccoglie gran parte dei capitali da piccoli correntisti o dalle piccole e medie imprese che operano nel tessuto produttivo marchigiano. Come è facile comprendere, se scattasse la clausola del bail-in, gli effetti sarebbero devastanti per una realtà industriale fatta di piccoli distretti. Lo stesso si può ovviamente affermare per la Banca Popolare dell’Etruria, per la Cassa di Risparmio di Ferrara e per la Cassa di Risparmio di Chieti.
Chi impedirà il fattaccio? Fortunatamente, in Italia abbiamo i giusti anticorpi per contrastare questi brutti malanni. Il Fitd (Fondo interbancario di garanzia dei depositi) è stato creato per questo e ad esso contribuiscono generosamente gli istituti finanziari del paese.
Però, qualcosa, in questi giorni, non è andata per il verso giusto. L’intervento del presidente del Fitd Salvatore Maccarrone, durante un’audizione alla commissione Finanze del Senato, è stato una doccia gelata. Maccarrone ha affermato che: “Il Fondo non può intervenire nei salvataggi in corso. La mancata conclusione dell’iter di approvazione delle nuove leggi è vissuto con affanno anche dalle altre autorità interessate ai salvataggi”. In parole povere, persino la Banca d’Italia ha le mani legate. Poi, qualche ora dopo ha indorato la pillola facendo passare la sua denuncia come un invito a legiferare presto su questa materia. Ma, Maccarrone dimentica una cosa importante. Nel caso in cui fossero tante le banche, dove gran parte dei capitali è costituita da conti correnti sotto i centomila euro, chi, e per quanto tempo, vorrà risanare questi debiti? Insomma, siamo sicuri che c’è la grana?
Inoltre, va detto che il problema è di metodo e di merito. Sul metodo, è facile notare l’attuale schema di protezione dei depositi non può garantire ciò che promette, ossia la tutela del piccolo risparmiatore. Il motivo è semplice. Come si evince dagli studi dello stesso Fitd: la garanzia offerta non corrisponde alle reali possibilità di intervento delle banche sulle quali ricade l’onere e il fondo che verrà creato è insufficiente rispetto a questi rischi.
Il merito della questione è molto importante: come si comporta la politica davanti al fallimento del mercato? Secondo la direttiva Ue, recepita dall’Italia, gli Stati membri devono essere tenuti fuori dalle implicazioni finanziarie causate dalle crisi bancarie. Basta, dunque, con le ingerenze della politica nella finanza!
Il meccanismo sarà molto semplice. Se un imprenditore non è in grado di pagare il mutuo con la sua banca l’ufficiale giudiziario gli sequestra il capannone e la casa. Ma, se lo stesso è vittima del fallimento del suo istituto di credito deve pagare di tasca propria per risanarlo. In conclusione, con il bail-in il dogma dell’infallibilità del mercato raggiunge il suo apogeo.
Salvatore Recupero