Roma, 30 apr – I wet market non esistono solo in Asia. I tristemente noti punti di commercio delle carni di animali selvatici – spesso in via di estinzione – venduti e dissezionati in condizioni igieniche raccapriccianti e finiti sul banco degli imputati come principali diffusori di zoonosi, esistono anche in Africa.
E la situazione desta più di una preoccupazione. Lo ha detto la segretaria esecutiva della Convenzione Mondiale per la Biodiversità, Elizabeth Maruma Mrema in una intervista al quotidiano britannico The Guardian, a margine di svariati appelli internazionali per chiudere per sempre ogni mercato di animali selvatici del pianeta: «Sarebbe bene bandire i mercati di animali vivi come hanno fatto la Cina e altre nazioni. Ma dovremmo anche ricordarci che ci sono comunità, soprattutto nelle aree rurali a basso reddito, specialmente in Africa, che dipendono dagli animali selvatici per la sopravvivenza di milioni di persone. Senza alternative per queste comunità, c’è il rischio dell’emergere del commercio illegale di animali selvaggi, che già adesso sta conducendo alla soglia dell’estinzione alcune specie».
Insomma, se che quel che avviene in Asia riguarda maggiormente il rischio sanitario e questioni etiche sul trattamento degli animali, nel Continente Nero, invece, alimentarsi di animali selvatici è spesso l’unica fonte di sostentamento per intere popolazioni. Nel bacino del Congo (Cameroon, Guinea equatoriale, Repubblica Democratica del Congo, Gabon, Repubblica Centro Africana), in Ghana, in Sierra Leone, in Liberia, in Burkina Faso e in Senega, praticare la caccia (di frodo o meno) determina la differenza tra la vita e la morte di interi villaggi.
Secondo una stima del Cifor (Center for International Forestry Research) del 2011, nelle foreste africane ogni anno vengono cacciate fino a 3,4 milioni di tonnellate di carne selvatica. Ne consegue una diminuzione costante, drammatica della fauna; una situazione che unita alla deforestazione sta preparando il terreno al contesto geografico del futuro se parliamo di pandemie. Il motivo è presto spiegato da alcuni ricercatori su ForestNews, la rivista online del Cifor: «Le foreste vuote, svuotate della loro naturale biodiversità da disturbi su larga scala come le attività estrattive, l’industria e l’agricoltura sono letteralmente scavate al loro interno dalla diffusa deforestazione e dal degrado del paesaggio. A nostro parere, quando specie che sono prede, specialmente i grandi mammiferi, vengono prelevati dalle foreste attraverso la caccia, l’equilibrio tra i patogeni e gli ospiti è alterato su un ordine di grandezza tale per cui i virus e i batteri che causano malattie possono saltare tra animali diversi e quindi anche sull’uomo».
Cristina Gauri