Roma, 9 feb – Il governo Draghi è cosa loro, questo è il concetto. E i quattrini del Recovery plan (meno rispetto a quanto dicono e spalmati su diversi anni) idem. Stiamo assistendo a un’ulteriore parte delle commedia messa in scena dal Pd, il quale, dopo aver perduto per sua stessa ammissione le elezioni politiche del 2018, oggi, tre anni dopo, sgomita ferocemente per intestarsi l’autorità del nascituro governo. Ed è il riassunto degli ultimi anni, forse decenni, dell’Italia, in cui imperversa un ceto politico post comunista che ha come unico obiettivo la presa e il mantenimento del potere, sganciandosi da qualsiasi aspetto ideologico poiché di ideologia, da quelle parti, non ve ne è più. L’alternativa cui si stringono attorno costoro è il mantenimento presso di sé dello scettro, ossia la possibilità di influire così tanto da rendere superflue le elezioni.
Il Pd e Draghi come pilastro della sinistra
Ricordate cosa dicevano sulla magistratura durante il ventennio berlusconiano? La definivano il banco di prova per ogni politico, naturalmente loro avversario, lasciando che fossero le toghe a fare e disfare la politica e i governi, ben lieto che i magistrati arrivassero dove loro non riuscivano a giungere tramite le elezioni, ossia alla distruzione morale, oltreché politica, degli avversari. E i governi cadevano e le inchieste ad orologeria procedevano spedite, poi però a un certo punto il vaso di Pandora si è scoperchiato. Di questi tempi, come tutti sappiamo. E c’è un ex potente magistrato, Luca Palamara, che sta vuotando il sacco sugli intrecci disgustosi che uniscono magistrati e politica, distruggendo l’indipendenza e l’imparzialità delle toghe e mettendo così a nudo un sistema malato voluto e nutrito da quel pezzo di politica che ritiene l’Italia “cosa loro”.
La verità è palese, Alessandro Sallusti l’ha addirittura messa nero su bianco, eppure nessuno sta chiedendo conto alla sinistra degli ultimi trent’anni di storia italiana. Perché siamo ormai abituati a veder la politica, in particolare una parte di essa, essere infilzata dallo spillone del giudiziariamente corretto. É il nostro perenne coprifuoco: nessuno sa perché, nessuno sa come, nessuno ormai si pone il dubbio, ma tutti alle 22 corriamo a rintanarci in casa. Ecco, nuovo capitolo e stesso schema. Oggi Draghi viene etichettato come pilastro della sinistra, voluto, cresciuto, nutrito dai figli di Togliatti, e quindi adesso è loro diritto piantare la bandiera sul governo. Giuseppi è già passato di moda, tornasse a fare il professore a Firenze.
Lo scontro Lega-Pd, nel nome di Draghi
Peccato però che Matteo Salvini abbia deciso di andare all in. Tre anni fa fu lui a sbancare alle elezioni, e poi Sergio Mattarella ha rivolto il suo appello a tutte le forze in Parlamento. Perché, dunque, avrebbe dovuto lasciare alla vecchia maggioranza il piacere di spartirsi anche in questo caso la massa di potere e di influenza sul futuro dell’Italia? Grave scandalo, a largo del Nazareno sono inviperiti tanto che ieri, uno stizzito Pierfrancesco Majorino ospite a Quarta Repubblica, ha esternato esplicitamente il proprio desiderio di non avere la Lega tra le palle, e Lorenzo Fontana gli ha risposto “ci saremo per renderti la vita complicata”. Vedrete come andranno a piagnucolare da Mario Draghi, come gli tireranno la giacca affinché lui prenda le distanze dai razzisti in camicia verde, per tentare di garantirsi una strada che sia la più spianata possibile e che vada dritta alla meta: la loro imposizione a prescindere da cosa ne pensino gli italiani. I quali, se non li votano, significa che sono dei mentecatti trogloditi. Inizia una nuova storia, ma sono sempre loro.
Lorenzo Zuppini