Alla fine gli «esuli in patria» – titolo di un suo noto libro – sono riusciti ad arrivare al potere, e stavolta da soci di maggioranza del nuovo governo. Eppure Marco Tarchi, che quegli ambienti li conosce molto bene, è piuttosto scettico sul destino degli eredi della Fiamma. Ordinario di scienza politica all’Università di Firenze, Tarchi la politica non l’ha solo studiata, ma anche fatta.
Questo articolo è stato pubblicato sul Primato Nazionale di novembre 2022
Marco Tarchi iniziò a militare nel Movimento sociale italiano nella stagione calda del Sessantotto e, nel 1974, diede vita all’esperienza della Voce della fogna, una rivista che armonizzava una satira pungente con la ricerca di nuove sintesi ideologiche. Al di là dei risultati conseguiti (Tarchi parlerà in seguito di una «rivoluzione impossibile»), si trattò senz’altro di un singolare tentativo di svecchiare la propria area di riferimento da quel nostalgismo barocco e tutto sommato impolitico che ancora impregnava il Msi. Sulle colonne caustiche e irriverenti della Voce prese corpo quella che viene definita «nuova destra» italiana, ossia una cerchia di pensatori e artisti che operava in consonanza con la produzione metapolitica inaugurata in Francia dal Grece e da Alain de Benoist. Che, non a caso, collabora tutt’oggi a riviste tarchiane come Trasgressioni e Diorama.
Nonostante le delusioni avute dalla militanza nel Msi (paradigmatico, in questo senso, il contestato congresso del Fdg del 1977), Tarchi ha proseguito con costanza la sua opera di scienziato della politica e di agitatore culturale. Esperto, tra le oltre cose, di populismo e storia delle dottrine politiche, ha più volte evocato la necessità di dar vita a un «gramscismo di destra», per mettere fine all’egemonia culturale di una sinistra sempre più povera di contenuti. Eppure, la cosiddetta «destra istituzionale» non si è mai dimostrata davvero interessata a questa battaglia, al di là di qualche dichiarazione di circostanza. E, secondo Tarchi, nulla fa pensare che, con il nuovo governo, le cose cambieranno.
Intervista a Marco Tarchi
Si è parlato fin troppo di improbabili «ritorni del fascismo», ovviamente in maniera del tutto strumentale. Al di là dei toni avvelenati della campagna elettorale, che significato ha la vittoria di Fratelli d’Italia che, pur tra molti passaggi (da Fiuggi in poi), è comunque l’erede diretto del Msi?
«Sul piano dell’interpretazione storica del fascismo, nessuno. Anzi: è proprio da quando, grazie a Tangentopoli e alla ricomposizione del sistema politico italiano, l’allora Msi-Dn è stato “sdoganato” che la discussione scientifica sull’argomento ha subìto una brusca battuta d’arresto e le tesi più equilibrate di quanti – Renzo De Felice in primis, ma non soltanto lui – avevano documentato la complessità del fenomeno sono state accantonate, a profitto di ricostruzioni militanti e unilaterali. Chi puntava a demonizzare la componente di destra della coalizione guidata da Berlusconi aveva bisogno non di analisi ma di caricature, simmetriche a quelle dei residui nostalgici di Mussolini ed egualmente lontane dalla realtà. Non è un caso che, con l’ascesa nei sondaggi di Fratelli d’Italia, si siano moltiplicati libri, articoli di giornale, trasmissioni televisive e film che riproducono quei cliché. Meloni e i suoi replicheranno a questa opera di maquillage dei fatti storici? Ne dubito. Nel loro desiderio di smarcarsi in modo ancora più chiaro dall’ingombrante etichetta, tenderanno, pur con qualche distinguo, a seguire la corrente. Già si sente qualche loro esponente negare che sia mai esistito un neofascismo in Italia e sostenere che fin dall’inizio il Msi aveva preso le distanze dalle vicende dei venti e più anni precedenti…».
La sinistra ha dimostrato ancora una volta di avere un elettorato «militarizzato» e legato più al partito che al leader. A destra, invece, è vero l’esatto opposto: un elettorato tendenzialmente pigro, molto fluido al suo interno e che si innamora spesso del leader di turno. Così si spiega l’infatuazione per Berlusconi prima, Salvini poi e la Meloni adesso. Che cosa dovrebbe fare la presidente di Fdi – un partito che nel 2018 aveva raccolto appena il 4 per cento delle preferenze – per trasformare i suoi attuali consensi in voto di struttura? Ma, soprattutto, oltre alla volontà, ne ha anche la capacità?
«Sulle capacità della persona il giudizio potrà venire solo dal riscontro delle sue azioni. Il problema è: esiste davvero un “elettorato di destra”? Quali sono i suoi riferimenti ideali, il suo modello di società, le sue basi culturali, i suoi criteri di valutazione delle questioni economiche o delle vicende della politica internazionale? C’è un criterio omogeneo capace di definire tutti questi elementi, oppure no? Moderati, conservatori, sovranisti, nazionalpopulisti, liberali, seguaci di ipotetiche “terze vie” possono essere tenuti stabilmente insieme da una piattaforma programmatica comune? Ci vuole una…
2 comments
E io che non conoscevo costui…
Accanto a “costui” bisogna porre un certo Carlo Terracciano, contemporaneo, conterraneo di adozione, dal cuore ben più forte e dalle tesi ben più ardite e da valutarsi con attenzione.