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Taglio sì, taglio no, taglio forse. Anche sul referendum il centrodestra ha toppato

by Valerio Benedetti
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Referendum centrodestra

Roma, 9 set – In teoria vorrebbe governare la nazione. In teoria. Perché nella pratica questo centrodestra non sa più che pesci pigliare. A confermarlo è la strategia adottata per il referendum sul taglio dei parlamentari. Che poi, appunto, è una non-strategia. Il centrodestra infatti, come è stato per il Mes, sul referendum si è presentato con posizioni diverse e contraddittorie: Lega e Fratelli d’Italia per il Sì, Forza Italia per il No. E se Berlusconi, alla veneranda età di 83 anni, è l’unico che ci ha capito qualcosa, le cose stanno veramente messe male.

Il populismo non paga (neanche al referendum)

Salvini e la Meloni si sono schierati sul Sì per motivi diversi. Il segretario della Lega lo ha fatto perché la riforma era nata durante il governo gialloverde con l’assenso del Carroccio. Di conseguenza, Salvini si è voluto mostrare «coerente», non capendo che ormai il contesto politico è completamente cambiato. La Meloni, invece, ha optato per il Sì sia per sostenere l’alleato leghista, sia per un calcolo puramente opportunistico, e cioè la volontà seguire il vento dell’antipolitica con tutto il suo odio per la «casta». Salvo poi scoprire – sondaggi alla mano – che gli italiani non sono poi tanto d’accordo con queste misure demagogiche. Insomma, se non sorretto da una strategia chiara, il populismo alla lunga non paga.

Il No al referendum è sacrosanto

Se ne facciamo una questione di merito, è ovvio che questa riforma è come la corazzata Potëmkin di Fantozzi. Innanzitutto, la riduzione dei parlamentari non rappresenta affatto un vero taglio agli «sprechi», dato che si risparmierebbero pochi milioni. Inoltre – volendo usare la terminologia populista – alla fine questo referendum è solo un assist ai «poteri forti»: il parlamento diventa più snello, sì, ma anche più ricattabile. Di conseguenza, un «fronte sovranista» serio avrebbe dovuto senz’altro schierarsi contro una riforma che comprime la sovranità sia nazionale che popolare. Ma già sulla vicenda Autostrade, invece di pigiare sull’acceleratore della nazionalizzazione, sia Lega che Fratelli d’Italia avevano fatto la corsa a chi è più liberista. Desolante.

Una mancanza cronica di strategia

Detto del merito, passiamo al metodo. Lo hanno capito anche i sassi che una vittoria del No al referendum potrebbe avere ripercussioni molto serie sulla tenuta del governo. I due soci di maggioranza dell’esecutivo sono entrambi per il Sì: il M5S per amor di tesi, il Pd per brama di potere. I grillini si giocano la faccia, i dem la permanenza nella stanza dei bottoni. Zingaretti ha dato il placet all’alleato per salvare il governo (e la sua leadership), scontentando però la base del partito. Con una maggioranza appesa a un filo (anche quello delle Regionali), non c’è insomma occasione migliore di questa per provare a dare la spallata definitiva a un governo raccogliticcio e attaccato con lo sputo. Solo che Lega e Fratelli d’Italia lo hanno capito tardi, e solo ora cominciano a nicchiare. «Decidano i cittadini», ha detto la Meloni. A questo punto, poteva entrare in un bar e chiedere direttamente agli avventori del posto di scriverle il programma del suo partito.

Governare o non governare? Questo è il problema

Insomma, il centrodestra è un’opposizione che non ha alcuna voglia di fare l’opposizione. Altrimenti avrebbe fatto la guerra a Conte, anziché mandargli delle inutili «letterine». Se al referendum dovesse vincere il Sì, la colpa sarebbe anche di Salvini e della Meloni. Il noto sondaggista Renato Mannheimer, fotografando la rimonta del No, ha spiegato: «Il No paga il fatto di aver cominciato la campagna molto in ritardo, gli elettori li sta conquistando adesso, prima non c’era storia. Poi al No è mancato il supporto dei partiti, nessuno ha fatto campagna per il No mentre il M5S lo sta facendo per il Sì». Ecco, una strategia chiara, lucida e decisa avrebbe forse cambiato le sorti sia del referendum che del governo giallofucsia. Certo, un’operazione simile avrebbe implicato prendersi la responsabilità di affrontare una campagna elettorale nazionale e l’onere di andare a governare. Ma, visto l’andazzo generale, a questo punto la domanda sorge spontanea: questo centrodestra ce l’ha davvero la voglia di tornare al governo?

Valerio Benedetti

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Cesare 10 Settembre 2020 - 12:01

Salvini e Meloni sanno bene di non poter cambiare nulla di importante se andassero al governo dato che l’Italia è in mano a poteri della finanza globalisti,occulti e sovranazionali.Questi poteri ci vogliono levare ogni identità nazionale,famigliare,religiosa e sessuale.Vogliono continuare a non permetterci nemmeno di respirare con una mascherina obbligatoria, vaccinarci con microchip come i cani,toglierci il denaro contante per farci dipendere del tutto dalle loro banche.Vogliono anche continuare con l’euro, moneta privata a debito da loro prodotta a costo zero che ci centellinano e con cui ci affamano e creano una depressione economica pianificata.Di fronte a questi poteri del deep state non saranno certo la Meloni e Salvini che si opporranno; l’unica è una presa di coscienza dell’ intera nazione prima che i nostri diritti e la nostra ex democrazia vengano definitivamente cancellati dalla storia

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