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Zero opposizione, zero pluralismo: meno male che siamo in democrazia

by Valerio Benedetti
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Se dovessimo dar retta ai media dominanti, in Ucraina stiamo assistendo a uno scontro tra democrazia occidentale e autocrazia putiniana. Che poi, ovviamente, altro non sarebbe che l’ultimo capitolo dell’eterna lotta tra il bene e il male. Propaganda efficace, certo, ma pur sempre propaganda: mangime preconfezionato per allocchi. E a occhio e croce, nel mondo libero, coscienzioso e bene informato, gli allocchi sono ormai diventati legioni.

Questo articolo è stato pubblicato sul Primato Nazionale di luglio 2022

Di dittatura si era parlato anche al culmine delle restrizioni anti-Covid: dittatura sanitaria, regime terapeutico, Draghistan e così via. «Tutto complottismo», hanno tuonato quelli bravi. Impedire alla gente di lavorare senza salvacondotto verde, si sa, è una cosa da nazione civile e responsabile. Semmai, dicono, si è fatto troppo poco. Per Giuliano Cazzola (+Europa), contro i no-vax ci vorrebbero le cannonate di Bava Beccaris, il boia di Sua Maestà che gli affamati col piombo sfamò. Beppe Sala, più moderato, si è limitato a invocare le manganellate della celere. Per non ricorrere alle salve d’artiglieria e alle bastonate degli «angeli in divisa», il governo ha preso la decisione più logica e, ovviamente, democratica: vietare tutte le manifestazioni. Chiedere a Stefano Puzzer e a CasaPound per conferma.

Se in democrazia votare è inutile

Se queste vi sembrano esagerazioni – anch’io, del resto, ho sempre criticato chi parlava di «dittatura sanitaria» – forse vale la pena di rileggere l’ormai famigerato editoriale di Paolo Mieli: «E se decidessimo di non votare mai più?», si chiedeva il decano del giornalismo italiano sul Corriere lo scorso ottobre. Mario Draghi, proseguiva, «dovrebbe restare a Palazzo Chigi per il resto dei suoi giorni». La consultazione elettorale, quindi, «servirebbe solo a ridefinire le quote ministeriali dei partiti di maggioranza. Per il resto tutto resterebbe com’è stato deciso prima del voto. Anzi, come è adesso». Se l’Italia non si trasforma in una satrapia plebiscitaria, insomma, la nazione non potrà che precipitare nel caos. Così parlò Paolo Mieli.

Anche Claudia Fusani, ex firma di Repubblica e oggi al Riformista, ha le idee chiare: «C’è una crisi della democrazia, questo è vero», ha dichiarato lo scorso gennaio a Coffee Break su La7. Ma non nel senso che tutti pensano: «In questo periodo ci sono stati moltissimi intellettuali che hanno scritto su questa situazione, cioè sul metodo di questa democrazia, di queste democrazie [occidentali]. Perché le sfide sono talmente tante, arrivano da talmente tanti fronti, che forse la democrazia in quanto tale non è più uno strumento sufficiente».

L’antifona è chiara: visto che stiamo vivendo un periodo turbolento e pieno di emergenze, e visto che i parlamenti sono ormai lenti e farraginosi, tanto vale conferire i pieni poteri al re taumaturgo che oggi risiede a Palazzo Chigi. Che ha la fortuna di non chiamarsi Giorgia e di non indossare le felpe. Che ha il privilegio di essere stato battezzato a Washington e cresimato a Bruxelles.

Capi o rockstar?

La questione è complessa e le banalizzazioni social non aiutano. Ma derubricare tutto a complottismo è un’operazione che lasciamo ben volentieri a Open, Repubblica, La7 e a tutti gli altri megafoni del potere. Negli ultimi anni – è un fatto – i regimi parlamentari dell’Occidente hanno subìto una mutazione genetica. Probabilmente è esagerato parlare di dittatura. Eppure l’interrogativo rimane: le dinamiche che si sono messe in moto rappresentano l’eccezione, oppure stanno per diventare la regola? Superata l’emergenza, si tornerà alla «normalità», oppure i più foschi scenari orwelliani saranno realtà permanente? Partiamo da un dato di fatto acclarato: sono almeno due decenni che le…

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