Roma, 22 nov – Jfk “corporativo”? A 50 anni esatti dalla sua morte, nel pieno delle celebrazioni per la sua opera politica, Lanfranco Palazzolo dalle colonne de Il Tempo ci consegna una visione diversa della tanto mitizzata figura del presidente americano. Ne emerge un immagine ben lontana dagli onanistici ritratti veltroniani, che l’hanno descritto come immortale icona della dea democrazia.
Al contrario l’aitante Jfk in gioventù fu protagonista di prese di posizione, nascoste dalla storiografia, che oggi farebbero inorridire i radical-chic dal pantalone di velluto che affollano il panorama storico e culturale italiano. Nel 1945 Kenndey espresse parole benevole per Hitler e diverse contestazioni verso le grandi democrazie occidentali, tanto che due suoi libri (datati 1940 e 1956) vennero pubblicati dalle Edizioni del Borghese. E non mancò neanche un apprezzamento verso il sistema economico fascista. Come ha ricordato Gennaro Malgeri, gli inviati a Roma dell’Fbi di John E. Hoover, avevano segnalato che il figlio dell’ambasciatore americano a Londra a fine anni Trenta, Joseph Kennedy, «è a favore del sistema corporativo fascista che tutti gli italiani, secondo lui, accettano di buon grado».
Parole che solo oggi possono stupire, se è vero che l’apprezzamento verso la “terza via” fascista caratterizzò vaste schiere di economisti e intellettuali di tutto il mondo tra le due guerre. Pensiamo solamente ai numerosi protagonisti del New Deal rooseveltiano che si recarono in Italia per studiare le riforme di Mussolini, dando vita a fitte relazioni culturali e a numerose critiche positive. La rivista del dipartimento di stato americano, Foreign Affairs, invitò Giuseppe Bottai a descrivere il sistema corporativo nelle sue pagine, mentre Hugh Johnson e Rexford Tugwell esprimevano giudizi entusiastici verso la legislazione del lavoro italiana. Contatti e affinità riportati alla luce nel recente libro di Wolfgang Schivelbusch “Three New Deals”, e che ancora aspettano di essere descritti nella loro interezza.
Al giorno d’oggi la polemica riguardante l’economia fascista non si è affievolita, tanto che un anno fa un personaggio come Valentino Parlato, dalle colonne del Manifesto, auspicò il ritorno dell’IRI, per via delle positive risposte che fornì alla crisi del ’29. E pochi mesi fa un manipolo di giovani studiosi ha rilanciato il tema con la pubblicazione di Corporativismo del III millennio (Seb) piccola ma significativa opera che analizza l’economia fascista mettendone in luce gli aspetti ancora vitali nel contesto delle problematiche sociali del giorno d’oggi.
Agostino Nasti