Roma, 16 giu – Lo avevamo già raccontato: in Germania, Angela Merkel non parla più di “tedeschi”, ma di “persone che vivono qui da più tempo” (Menschen, die schon länger hier leben). Tra un tedesco che vive sulla sua terra da generazioni e un ghanese appena sbarcato che non conosce la lingua, la cultura, il paesaggio, ci sarebbe solo una differenza di grado. La decostruzione dei popolo passa anche da scelte linguistiche di questo tipo. La logica su cui si basa lo Ius Soli va esattamente in questa direzione: ci sono gli italiani che stanno qui da più tempo e gli italiani “nuovi”, appena arrivati, ma per il resto nulla ci distingue. L’Italia è quindi come una sala d’aspetto: gente che va e gente che viene, in modo casuale, con l’unica differenza che chi è arrivato prima ha trovato i posti a sedere. Perché non si faccia il passo finale, eliminando direttamente le nozioni di “italiano”, “tedesco” e così via non è chiaro: che senso ha una qualifica che suona, comunque, esclusiva ed escludente, che ha comunque a che fare con un’origine, una lingua, un retaggio culturale? Se l’Italia è la sua Costituzione, il suo welfare e nient’altro, smettiamo di chiamarla Italia. L’Europa intera potrebbe essere ridisegnata dividendola per zone: esisterebbero, quindi, gli esseri umani della zona A (il Portogallo), della zona B (la Spagna), della zona C (la Francia) etc.
O forse potremmo trasformare direttamente tutta l’Europa in una zona unica, in cui umani di ogni origine e provenienza si possano installare liberamente. L’Europa, si badi, dato che fuori di essa nessuno si sogna di ragionare in questo modo. È solo la nostra utopia fanatica e ideologica che ha deciso di abolire i popoli. A questo punto, però, spunta sempre l’obiezione più scontata: l’alternativa, ci viene detto con sarcasmo, sarebbe la “razza italiana”, concetto sfuggente e scientificamente assai dubbio, che viene evocato per buttare in caciara tutto il ragionamento sulla scia delle tragedie novecentesche. Ovviamente il gioco è semplice: gettare il bambino della biodiversità umana con l’acqua sporca del lessico scientifico ottocentesco. Agitare lo spettro di una “razza pura” inesistente per dimostrare che nessun concetto che riguardi enti collettivi (popolo, etnia, cultura) abbia validità. La decostruzione funziona proprio così: prende un fatto, per esempio la sedia che è qui davanti a me, lo riduce a un’idea platonica (la sedietà) e poi stabilisce che, poiché la sedietà non esiste, allora anche la sedia è un fantasma, malgrado l’evidenza che la vuole qui davanti a me. E pazienza se i genetisti credono di poter ritrovare “una traccia genetica riscontrabile” dei popoli etruschi, liguri e piceni nella popolazione italiana attuale.
Oppure ci dicano che in Francia, dopo le invasioni vichinghe del IX secolo “fino a tempi molto recenti […] non si sono più avuti rilevanti contributi genetici dall’esterno”, per poi concludere che, “poiché le migrazioni successive in Francia sono state di dimensioni modeste, il quadro etnico originario può ancor oggi essere determinato dagli insediamenti più antichi e importanti”, ovvero risalenti addirittura al paleolitico. O ancora che i popoli Baschi, grazie a un isolamento auto-imposto per ragioni politiche-culturali, risultino oggi “essere i diretti discendenti di una popolazione del Paleolitico superiore, del tipo Cro-Magnon” (tutto questo in Luigi Luca Cavalli-Sforza, Paolo Menozzi, Alberto Piazza, Storia e geografia dei geni umani, Adelphi, Milano 1997) Non si tratta, va da sé, di pensare progetti che facciano di tali dati genetici sic et simpliciter delle categorie politiche, cosa ovviamente impensabile e assurda. Si tratta di restituire la realtà dei popoli alla sua verità. L’idea di classificare in modo certo e inoppugnabile i gruppi umani in base a tabelle, diagrammi e indici fa parte di un modo superato di affrontare la questione. Ma insieme al modo non più valido di spiegare il fatto evidente – la diversità umana – si è preteso che non esistesse più neanche il fatto in sé. È in nome di questa follia che stanno modificando l’uomo e la sua storia.
Adriano Scianca
1 commento
la cosa più paradossale è che mettono sempre questa Keynge (dovrebbe chiamarsi così credo) come “testimonial” di qualsiasi cosa che riiguardi il continente africano,quando a rigor di logica (la stessa che ispira lo ius soli o il ius cul-turae) avendo predetta signora acquisito la cittadinanza italiana NON dovrebbe più essere considerata africana ma solamente Italiana…