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Gay discriminati dall’Agenzia delle Entrate? Una bufala: ecco la verità

by La Redazione
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Roma, 2 lug – Gay ed Agenzia delle Entrate: un connubio che non può fare notizia soprattutto se si urla alla violazione dei diritti degli omosessuali da parte di uno degli enti pubblici più odiati d’Italia. E Repubblica, sempre in prima fila quando si parla di battaglie demagogiche e sparate antifisco, stavolta ci è cascata dentro con tutti e due i piedi con un titolo in homepage che la dice lunga: “Unioni gay e il nostro Fisco surreale: “Se valgono le detrazioni, lo deve dimostrare il contribuente””.

La storia è presto detta: un contribuente italiano omosessuale, dopo aver trascritto in Italia come unione civile il matrimonio contratto negli Usa con il suo compagno, ha chiesto all’Agenzia delle Entrate da quale data fosse possibile richiedere le detrazione per il coniuge a carico e le relative spese mediche e ha fatto questa richiesta avvalendosi dell’istituto dell’interpello previsto dall’articolo 11 della legge 27 luglio 2000 n. 212 (il cosiddetto Statuto del Contribuente), come modificato dal d. lgs. 24 settembre 2015, n. 156. L’Agenzia delle Entrate gli ha risposto ritenendo l’interpello inammissibile in quanto il contribuente avrebbe dovuto fornire comunque una propria interpretazione della norma. E qui Repubblica scatena l’inferno: non è colpa del contribuente, ma della burocrazia e del fisco che in realtà ancora è nemico della gente e privo di buonsenso perché addirittura, udite udite, si permette persino di comunicare al contribuente che ha 30 giorni per fornire una propria interpretazione.

Qui il problema non sta nel fisco-nemico o nel mancato riconoscimento di un diritto al contribuente-gay, bensì sta in quella che i latini chiamavano ignorantia legis, sia da parte del contribuente che da parte del giornalista di Repubblica. E se la prima, quella del contribuente, potrebbe anche essere ammessa, la seconda, quella di chi fa informazione, doseremmo dire proprio di no. Vediamo perché. L’interpello, nel caso specifico quello “ordinario” previsto dall’art. 11, comma 1, lettera a) dello Statuto del Contribuente, è uno strumento utilissimo per instaurare un colloquio preventivo tra Amministrazione Finanziaria e contribuenti. Nel caso di un dubbio interpretativo in merito ad una norma tributaria che il cittadino si deve trovare ad applicare può rivolgersi all’Agenzia delle Entrate, preventivamente, dando una spiegazione del proprio caso concreto e personale, indicando la norma su cui vi è un dubbio interpretativo e fornendo la propria interpretazione. Dall’altra parte l’Agenzia, entro un termine massimo di tempo, potrà condividere l’interpretazione del contribuente, il quale a quel punto sarà al riparo da qualsiasi controllo sull’applicazione di quella norma, oppure potrà non condividere quanto da lui espresso fornendo un’interpretazione alternativa della norma stessa. In tal caso sarà il contribuente a dover scegliere: o proseguire con la propria interpretazione originaria oppure adeguarsi all’interpretazione dell’Agenzia. In quest’ultimo caso sarebbe nuovamente al riparo da eventuali controlli, nel caso in cui adottasse la propria interpretazione potrebbe essere soggetto a recupero d’imposta e allora potrebbe far valere le proprie ragioni in contenzioso tributario. Se invece l’Agenzia non risponde, decorso il termine massimo, vale il silenzio-assenso a favore del contribuente.

Il problema, invece, nel caso esposto da Repubblica sta nel fatto che la persona che ha presentato l’interpello non ha fornito alcuna interpretazione chiedendo semplicemente all’ufficio competente “come mi devo comportare?”, quasi che i dipendenti dell’ente fossero commercialisti o avvocati tributaristi. E l’ufficio competente, rispettando la legge nonché dimostrando una notevole disponibilità verso il suo interlocutore, gli ha fatto notare che la sua richiesta non era ricevibile e che avrebbe potuta integrarla con una soluzione entro 30 giorni, rendendola così ammissibile. Insomma, dov’è lo scandalo? Dov’è la violazione dei diritti dell’omosessuale? Ci rendiamo conto che Repubblica quando si parla di presunte violazioni dei diritti dei gay parte a testa bassa come i tori quando vedono rosso. E se poi può anche portare avanti una doppia battaglia demagogica contro il fisco e a favore degli omosessuali, omette pure di informarsi e controllare le notizie. Ma in questo caso è andata un po’ troppo in là suscitando l’ilarità di tutti gli esperti del settore.

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