Barcellona Pozzo di Gotto, 8 gen – La sera dell’otto gennaio 1993 la mafia decise di mettere a tacere per sempre Beppe Alfano. Le dinamiche di questo omicidio sin dall’inizio apparvero poco chiare. Vediamo perché. Il cronista siciliano era seduto al posto di guida della sua Renault 9, accostata sulla destra, in via Marconi (poco distante da casa sua) con il finestrino lato passeggero abbassato, il cambio in folle e il motore acceso. Insomma, pareva aspettasse qualcuno. Verso le dieci di sera il killer lo uccise con una calibro 22: tre colpi a rapida successione e a breve distanza. Ma chi era Alfano? E cosa c’entra la mafia?
Giuseppe Aldo Felice Alfano, detto Beppe nasce a Barcellona Pozzo di Gotto il 4 novembre del 1945. Da giovane milita prima in Ordine Nuovo e poi nel Movimento Sociale Italiano. La passione politica (intesa come dedizione totale verso la polis) sarà il tratto distintivo della sua esistenza. Frequentò la facoltà di economia e commercio, ma dopo la morte del padre abbandonò gli studi universitari. Si trasferì a Cavedine in provincia di Trento e qui iniziò a svolgere il lavoro che avrebbe fatto per tutta la sua vita ossia l’insegnante di educazione tecnica. Tornò a Barcellona nel 1976 e qui riuscì a coniugare l’impegno politico nelle fila del Msi con la sua passione per il giornalismo. Collaborò infatti con molte radio locali. Negli anni successivi divenne il “motore giornalistico” di due televisioni locali: Canale 10 e Tele Mediterranea. Qualche anno dopo iniziò a collaborare con il quotidiano La Sicilia di Catania. Tutto questo senza essere giornalista, continuando a fare l’insegnante e il militante politico. Anche se non poteva dedicarsi a tempo pieno al giornalismo, fu un cronista di razza. Doti che però non furono riconosciute dal quotidiano La Sicilia, che per ogni pezzo gli dava cinquemila lire.
Un uomo così certo non poteva rimanere indifferente di fronte alla mafia. Poi per un fascista siciliano, i mafiosi erano dei partigiani con la coppola. Nessuno deve scordarsi che il boss Salvatore Lucania alias Lucky Luciano ha contribuito alla caduta del Fascismo e all’arrivo degli americani in Sicilia. Per questo Alfano iniziò ad ingaggiare una lotta impari contro i boss locali. Nonostante la provincia di Messina fosse ritenuta provincia babba (ossia poco furba e di conseguenza non incline al crimine) Barcellona faceva la differenza. Il clan dominante era legato a doppio filo con Nitto Santapaola e dunque con i corleonesi. Non solo, ma nella stessa città, o meglio nel comune limitrofo di Terme Vigliatore, c’era un altro clan che contendeva ai barcellonesi il controllo de territorio. Beppe Alfano, però, non si accontentava di fare la cronaca nera, come Giovanni Falcone adottava la tecnica del Follow the money, ossia seguire i soldi per incastrare i mafiosi. I temi sui quali si concentravano le sue inchieste furono: gli illeciti compiuti nella gestione dell’Aias (l’associazione d’assistenza ai disabili di Milazzo), le illegalità nel comune di Barcellona, le truffe del settore agrumicolo all’Ue nella zona tirrenica messinese. Inoltre, egli pare che avesse scoperto che il superlatitante Nitto Santapaola era nascosto proprio nella sua città. A muovere le file, però, non c’erano solo i padrini. Secondo il cronista missino nella sua città si era formata una confraternità di tipo massonico (La Corda Frates) che univa gli esponenti della classe dirigente ai membri della Cupola.
Alla luce di quanto detto, è difficile stabilire il movente di questo omicidio. L’insegnamento che però dobbiamo trarre da questa storia non passa dalle aule dei tribunali. Beppe Alfano non è una vittima, al contrario egli è un caduto. Ha scelto di combattere la mafia sapendo che poteva essere ucciso, è morto in piedi mentre chi lo circondava ha preferito sopravvivere in ginocchio. C’è di più: Alfano sfidava i suoi nemici nelle strade della sua città guardandoli in faccia non si rifugiava in un attico a New York. Anche per questo dobbiamo ricordare quest’uomo che, come Paolo Borsellino, con il suo sangue ha riscattato l’onore della sua terra.
Salvatore Recupero
Giornalismo antimafia, quello vero: 25 anni fa l'omicidio del cronista missino Beppe Alfano
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6 comments
P R E S E N T E !
Onore al Camerata.
“Poi per un fascista siciliano, i mafiosi erano dei partigiani con la coppola.”
Mescolare la Guerra Civile (CON TUTTI I PRO ED I CONTRO, ANCHE QUELLI IGNORATI DALLA VULGATA POST-1945) e la Mafia (che ha una Storia antica ed è, oggi, internazionalmente attiva nelle sue declinazioni siciliane, calabresi e campane), mi sembra, ad essere generosi, errato. La Guerra Civile, o di Liberazione o Rivoluzionaria Comunista etc. fu un fenomeno politico, la parte la si poteva scegliere, e, comunque, originato dalla 2a GM, come comunismo e fascismo lo furono dalla 1a. La Mafia nasce come fenomeno etnico, tipico, sconosciuto, ad esempio, fino agli anni 1960, nelle zone da cui ebbero origine e il comunismo (italiano) ed il fascismo.
Le organizzazioni criminali meridionali fanno fuori tutti gli uomini onesti che li ostacolano, e quindi fecero fuori sia ex-partigiani (MATTEI) che post-fascisti (dico post-per ragioni anagrafiche) come il coraggioso Alfano, la cui storia non conoscevo, e che aggiungo all’elenco dei morti per la Giustizia in questo Paese.
….onore e sempre riconoscenza da parte del popolo patriottico..( differentemente da chi ha fatto ”lotta alla mafia ” dicendo d’essere amico di Borsellino ed è salito sul bredellino politico…)
Vero. Infinita tristezza.
Giornalista e, soprattutto, Uomo Libero.