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“Non ci ho visto più”: Stefano Ferri si veste da donna, ma guai a ridere in sua presenza

by Michele Iozzino
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Stefano Ferri

Roma, 1 ago – Se ci fosse un torneo per la mitomania social il post di Stefano Ferri sarebbe sicuramente un valido argomento per fargli meritare i gradini più alti del podio. Qualche riga per vantarsi di aver rimbrottato una signora che rideva a una fermata della metro. Il motivo di tanto astio? Ferri è un crossdresser e ridere in sua presenza è evidentemente un atto di discriminazione, se non di lesa maestà.

Il post di Stefano Ferri

A leggere quanto scrive Ferri sul proprio profilo, il tutto è accaduto qualche giorno fa, più precisamente il 21 luglio. Si premura anche di precisare che siamo nel 2023, così da buttare nel mezzo il solito cliché dell’epoca buia: “Da notare l’anno, non siamo nel medioevo”. Lo scenario è la metropolitana di Milano. Quando accade l’irreparabile: “Sto aspettando il treno nella banchina semideserta quando noto una signora in maglietta e pantaloni scrutarmi con sarcasmo”. Ferri è un crossdresser, quello che in italiano chiameremmo un travestito. Un uomo sulla cinquantina, sposato, con una figlia adolescente, eterosessuale, e, come sottolineano più volte i giornali che parlano di lui, “di successo”. Solo che a tutto questo aggiunge anche il fatto di vestirsi con abiti femminili, gonne, tacchi e quant’altro, scrivendoci anche un libro per il quale dice di essersi ispirato a Michela Murgia. Pertanto quelle occhiate di diffidenza e scherno al suo indirizzo non sono, per lui, “niente di diverso da quello cui sono abituato”. Ma la signora supera ogni limite: “Costei a un certo punto scoppia a ridere”.

Il doppiopesismo dell’ideologia woke

Un atto davvero imperdonabile, almeno per Ferri: “Stavolta non ci vedo più e mi avvicino a lei”. Si arriva al confronto diretto fra i due: “La guardo con pari sarcasmo e aspetto che la smetta. Smette in fretta, non aveva considerato che avrei preso il toro per le corna”. Poi la ramanzina: “’Un tempo’, le sussurro mentre mi guarda basita, ‘erano le donne in pantalone a suscitare questa reazione negli uomini, e oggi siamo unanimi nel ritenere quegli uomini imbecilli’”. Ferri si concede un momento per autoincensarsi: “Pausa scandita ad arte. Sono in forma”. Ed ecco la chiusura a effetto: “’Pensi quanta gente, in futuro, darà dell’imbecille a lei‘. Il sibilo del treno chiude la conversazione”. Il post di Ferri è stato ripreso anche da Repubblica che ne ha fatto quasi un esempio di lotta contro le discriminazioni e le offese subite. Miracoli del giornalismo woke, in cui anche un caso di mansplaing, per usare una categoria cara a quel mondo, o di semplice villania diventa un atto eroico se a compierlo è la minoranza giusta.

Michele Iozzino

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