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Remigrazione: una parola che brucia

by Sergio Filacchioni
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Remigrazione

Roma, 19 mag – Roma, 19 mag – Remigrazione. Una parola semplice e spietata, che scoperchia decenni di ipocrisia buonista. Il 17 maggio 2025 ha segnato la sua definitiva irruzione nella scena politica italiana ed europea. Due eventi – distinti, ma speculari – hanno scolpito questa data nella storia: il Remigration Summit a Gallarate-Milano e la manifestazione militante di CasaPound a La Spezia.

Remigrazione: una parola in cammino

Da un lato il pensiero, dall’altro l’azione. Entrambi gli eventi hanno imposto un concetto che il sistema prova da anni a ignorare, reprimere, deridere. Ma più lo combattono, più la parola prende forza. La remigrazione è diventata un’idea viva, che si impone al centro del discorso pubblico con la potenza delle cose evidenti. A Gallarate, Jean-Yves Le Gallou – teorico identitario francese e fondatore dell’Institut Iliadeha dettato la linea con la chiarezza di chi sa che il tempo della teoria sta finendo: la remigrazione è legittima, necessaria e possibile. Gli europei – ha ricordato – hanno diritto a difendere la propria identità sul proprio suolo. Non è razzismo, è autodifesa. La sinistra, colta in contropiede, ha reagito come sempre: isteria, delegittimazione, antifascismo da operetta. “Bella Ciao” sparata a tutto volume, centri sociali in modalità guerriglia urbana, stampa in servizio permanente effettivo a colpi di “ultradestra”. Nulla di nuovo, se non il risultato: la legittimazione piena di un dibattito che non possono più evitare. E mentre loro gridano al fascismo immaginario, l’Italia reale ascolta.

CasaPound a La Spezia: la remigrazione sulle gambe militanti

Nel frattempo, a La Spezia, CasaPound ha fatto ciò che la politica pavida (o quella troppo intellettuale) non osa più: ha portato il dissenso in strada, a testa alta. Oltre mille persone hanno sfilato pacificamente ma con fermezza, sventolando tricolori e chiedendo ciò che ogni nazione sana dovrebbe pretendere: ordine, identità, rimpatrio degli incompatibili. Nonostante il boicottaggio delle autorità locali, la partecipazione è stata ampia e determinata. Gli antifascisti hanno provato a intimidire, come sempre, fallendo. “Nessuno può impedirci di stare in piazza”, ha dichiarato Luca Marsella. E non è solo uno slogan: è un fatto. CasaPound ha ristabilito un principio fondamentale: la militanza non chiede permesso, e la legittimità politica non si conquista nei salotti televisivi ma in piazza, tra la gente, sfidando apertamente i tentativi di censura e repressione. Oggi la remigrazione cammina sulle gambe dei patrioti, dei militanti, degli uomini liberi. E brucia la lingua dei benpensanti perché pone domande semplici e inaggirabili: a chi appartiene questa terra? Chi decide chi può viverci? Fino a quando possiamo reggere questa invasione mascherata?

Un atto di fedeltà

Ma attenzione, la remigrazione non è solo una misura di salviniano “buon senso”: è un atto di fedeltà verso ciò che siamo e un dovere rivoluzionario. Chiariamoci. L’invasione migratoria non è frutto di un unico complotto, ma la somma velenosa di mille forze convergenti: la finanza globale, la retorica dei “diritti umani”, il disordine planetario programmato, il nichilismo liberal. Tutti ingranaggi diversi, ma al servizio dello stesso obiettivo: la dissoluzione dei popoli europei in un’umanità intercambiabile e senza radici. Contro questa centrifuga globale, l’identità è l’unico baluardo, ma per renderla un polo positivo occorre uno sforzo creativo che superi la semplice “conservazione”. L’Europeo non può più essere un “Occidentale”, ridotto a individuo-consumatore senza storia. L’Europeo è il figlio di trentamila anni di civiltà, un ponte tra il sacro e la tecnica, tra il mito e la scienza. Occorre rimettere ordine, ristabilire confini, riportare a casa chi non appartiene: questo è remigrare. Non per odio, ma per amore di tutte le identità. Questa terra, che racconta la nostra storia, non può essere svenduta. Va riconquistata, senza rinunciare a creare qualcosa di nuovo e mai visto: un’Europa potenza.

Sergio Filacchioni

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