Roma, 20 nov – Ormai è assodato che il coronavirus e le relative restrizioni imposte dal governo giallofucsia non abbiano causato solo ripercussioni dirette: l’impoverimento dei cittadini italiani e la distruzione del tessuto economico e sociale sono solo gli effetti palesemente visibili di quanto sta accadendo in questi ultimi mesi. C’è un fattore, che avrà risonanza nel lungo termine e sta mietendo vittime in diverse generazioni: l’impatto psicologico sulla popolazione, causato dalle ordinanze relative al lockdown.
Suicidi e lockdown, il rapporto dell’Istituto superiore di sanità
A tal proposito, l’Istituto superiore di sanità ha pubblicato il rapporto “Il fenomeno suicidario in Italia. Aspetti epidemiologici e fattori di rischio” in cui vengono evidenziati i fattori di rischio specifici legati alla pandemia di Covid-19 e riguardanti la salute mentale. L’Iss chiarisce che le misure di quarantena collettiva (lockdown) sono state descritte in passato come associate ad un aumento del rischio di suicidi: “Il pericolo che l’attuale crisi sanitaria, con le associate conseguenze economiche e sociali, possa causare anche un aumento dei suicidi è uno scenario molto probabile ma forse non ineluttabile”, precisando che, essendo senza precedenti la situazione attuale, “sono sconosciuti gli effetti a lungo termine del distanziamento sociale, del confinamento in casa, della convivenza con una familiare affetto da Covid-19, nonché delle limitazioni all’accesso ai servizi sanitari e di prevenzione e cura (di routine o di emergenza)”. L’Istituto superiore di sanità precisa altresì che i più colpiti sono i ceti sociali più svantaggiati, perché vedono messi a rischio anche il soddisfacimento dei loro bisogni primari, a causa della perdita del lavoro o della riduzione del reddito dovuto al fermo delle attività produttive. Tutto ciò, “unito alla paura di essere positivi al COVID-19 e di ammalarsi e/o di far ammalare i propri cari, ha generato un forte stato d’ansia e preoccupazione per il futuro che si ripercuoterà inevitabilmente sulla salute mentale della popolazione e rischia di impattare anche sul rischio di suicidio andando ad aggiungersi e interagendo con i fattori di rischio preesistenti”.
Tra in fattori di rischio specifici, l’Iss elenca il distanziamento sociale, il consumo di alcol, la violenza domestica, le restrizioni delle libertà personali, la paura del contagio (per sé e per i propri cari), lo stress e il burnout per medici e operatori sanitari, il ruolo della comunicazione (che può aver esacerbato paura e ansia), la riduzione dei servizi dedicati alla prevenzione e la cura del disagio mentale e del suicidio o riduzione del personale ad essi dedicato, nonché la crisi economica con il conseguente aumento della disoccupazione e della precarietà e riduzione del reddito. In occasione della Giornata Mondiale per la prevenzione del suicidio del 10 settembre, è stato rilevato il numero dei suicidi connessi in maniera diretta o indiretta al coronavirus dal mese di marzo: si sono registrati 71 suicidi e 46 tentativi di suicidio.
L’impatto del Covid-19 e delle restrizioni sui bambini
“L’isolamento a casa durante l’emergenza da nuovo coronavirus ha causato l’insorgenza di problematiche comportamentali e sintomi di regressione nel 65% di bambini di età minore di 6 anni e nel 71% di quelli di età maggiore di 6 anni (fino a 18)“. È quanto emerge da un’indagine sull’impatto psicologico e comportamentale del lockdown sui bambini e sugli adolescenti in Italia, condotta dall’ospedale pediatrico Gaslini di Genova. Tra i disturbi più frequentemente evidenziati vi sono: l’aumento dell’irritabilità, disturbi del sonno e disturbi d’ansia” recita il sito del ministero della Salute nei “10 punti chiave” sul coronavirus dedicati ai bambini. Il Gaslini, già dalle prime fasi della pandemia ha attuato un programma di monitoraggio e di intervento dedicato al supporto della popolazione pediatrica e delle loro famiglie, anche con l’obiettivo di individuare precocemente possibili situazioni di criticità in ambito psichico comportamentale. L’ospedale pediatrico ha utilizzato come strumento di analisi un sondaggio anonimo, svolto a circa tre settimane di distanza dal lockdown, a cui hanno risposto 6.800 italiani, di cui 3245 hanno dichiarato di avere figli minorenni a carico.
Nei bambini e adolescenti (età compresa tra i 6 e i 18 anni), i disturbi più frequenti hanno interessato la “componente somatica” (disturbi d’ansia e somatoformi come la sensazione di mancanza d’aria) e i disturbi del sonno (difficoltà di addormentamento, difficoltà di risveglio per iniziare le lezioni per via telematica a casa). In particolare, in questa popolazione è stata osservata una significativa alterazione del ritmo del sonno con tendenza al “ritardo di fase” (adolescenti che vanno a letto molto più tardi e non riescono a svegliarsi al mattino), come in una sorta di “jet lag” domestico. In questa popolazione, è stata inoltre riscontrata una aumentata instabilità emotiva con irritabilità e cambiamenti del tono dell’umore.
L’analisi del Gaslini ha anche rilevato una correlazione tra il grado di malessere dei genitori causato dal Covid-19 e il livello di gravità dei comportamenti disfunzionali dei bambini e dei ragazzi. All’aumentare dei sintomi o dei comportamenti suggestivi di stress conseguenti alla condizione “Covid” nei genitori (disturbi d’ansia, dell’umore, disturbi del sonno, consumo di farmaci ansiolitici e ipnotici), “i dati hanno mostrato un aumento dei disturbi comportamentali e della sfera emotiva nei bambini e negli adolescenti, indipendentemente dalla pregressa presenza di disturbi della sfera psichica nei genitori. Inoltre, i disturbi della sfera emozionale dei genitori conseguenti alla “condizione Covid” sono risultati essere significativamente accentuati nel caso di pregresse problematiche di natura psichica”.
I dati sottolineano come la situazione di confinamento abbia determinato una condizione di stress notevolmente diffusa con ripercussioni significative a livello non solo della salute fisica ma anche di quella emozionale-psichica dei genitori e dei bambini. Il Gaslini evidenzia l’importanza di fornire percorsi di supporto psicologico e neuropsichiatrico alle famiglie e ai bambini, così da ridurre i rischi di sintomatologie post-traumatiche perduranti nel tempo.
L’allarmismo come fattore di rischio
Il 18 novembre, in occasione dell’assemblea della Federazione italiana pubblici esercizi (Fipe), Giuseppe Conte ha affermato: “È una fase evidentemente difficile della nostra storia repubblicana, un momento molto complesso dal punto di vista economico e sociale. C’è un disagio diffuso sociale e anche psicologico da parte di tanti cittadini e operatori economici. Dobbiamo tenerne conto: quanto più rapidamente riusciremo a contenere il contagio, tanto più rapidamente potremo ridare la fiducia necessaria a ripartire. Ci premono i tempi di contenimento del contagio”. “Potremo ridare fiducia” stride terribilmente con il “disagio psicologico” evidenziato qualche secondo prima dal premier. Il mantenere costantemente la popolazione sotto stress allarmista e le quotidiane accuse di essere irresponsabili untori (i bambini sono stati pure accusati di infettare i nonni), certamente non preservano e preserveranno gli italiani dalle possibili ripercussioni psicologiche e neuropsichiatriche. Nonostante ciò, il governo giallofucsia, con la collaborazione dei media allineati, non fanno altro che incrementare l’inquietudine nel Paese, aumentando l’allarmismo, che come ha rilevato sia l’Istituto superiore di sanità sia il Gaslini, è uno dei fattori di rischio della crescita dei disturbi mentali durante l’epidemia di Covid-19. L’esecutivo, come spiega l’Iss, dovrebbe invece considerare “politiche di prevenzione efficaci” riguardanti la salute psicologica e neuropsichiatrica degli italiani con “un approccio di tipo multisettoriale che tenga conto dei potenziali fattori di rischio a livello di contesto sociale, economico e relazionale”.
Francesca Totolo