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Il coronavirus suona il requiem per la scienza “ufficiale”?

by La Redazione
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Roma, 18 apr – La scienza e la tecnica sono i fondamenti dell’età moderna: se già durante l’illuminismo i fondamenti religiosi del pensiero venivano messi in discussione, è solo alla fine dell’ottocento, dopo il contraddittorio movimento del romanticismo, che il pensiero scientifico si impone come nuovo paradigma, come modello di conoscenza.

Il pensiero scientifico diventa dominante però soltanto nel secondo dopoguerra: se prima la conoscenza scientifica trovava applicazione specialmente nell’industria e, solo in parte, nella medicina, è con il secondo conflitto mondiale che il sapere scientifico mostra al mondo le sue potenzialità (si pensi soltanto alla creazione e all’uso della bomba atomica). Ed è sempre nel secondo dopoguerra che le tecnologie sviluppate in ambito militare trovano applicazione in ambito civile e vengono utilizzate a fini commerciali, che la scienza entra nel quotidiano: i prodotti della scienza entrano nelle case delle persone, che cominciano così a disporre di strumenti fino a pochi anni prima inimmaginabili, strumenti che migliorano notevolmente la qualità della vita (si pensi alla lavatrice, al frigorifero, all’automobile). Fra questi miglioramenti c’è anche il debellamento di malattie prima mortali e, più in generale, un grande progresso nella medicina.

La scienza ha davvero tutte le risposte?

Già questi fatti sarebbero sufficienti per giustificare il ruolo primario attribuito alla scienza nell’era contemporanea. Se si considera, poi, che il periodo di “tecnologizzazione” della realtà e della società corrispose al periodo del cosiddetto miracolo economico e che, inoltre, il progresso tecnologico e medico è continuato fino ai giorni nostri, raggiungendo risultati che fino, almeno, all’inizio del ‘900 sarebbero stati considerati magici (si pensi alla conquista dello spazio, alla telefonia mobile, a internet, alla clonazione) allora si capisce perché l’uomo contemporaneo abbia addirittura nutrito una fede cieca e assoluta nel sapere scientifico, una fiducia che lo ha spinto a ricercare nella scienza le risposte a tutte le domande, comprese quelle a cui la scienza non può rispondere (domande esistenziali, etiche, morali, etc). Il sapere scientifico è diventato l’unico sapere degno di essere conosciuto e i portatori di tale sapere sono diventati degli eroi: le scienze – e in particolare la fisica – sono diventate il paradigma dominante, al punto che tutte le altre discipline, incluse quelle umanistiche, sono state obbligate, o quasi, ad adottare i linguaggi e le metodologie utilizzate nelle scienze: la filosofia, scriveva Claude Lévi-Strauss nel 1988, può avere un posto nel mondo di oggi solo se «si basa sullo stato attuale della conoscenza scientifica e delle sue acquisizioni», dal momento che «non solo» la scienza «ha enormemente allargato e trasformato la nostra visione della vita e dell’universo» ma «ha anche rivoluzionato le regole secondo cui opera l’intelletto». Come dimostra la storia del sapere nell’età contemporanea, l’adozione della metodologia scientifica è stata una scelta obbligata all’interno di tutte le discipline.

I membri della comunità scientifica si sono spesso crogiolati in questo clima culturale, essendo percepiti come i portatori della verità, della “vera” conoscenza e non, invece, di una conoscenza precaria e continuamente mutevole. La precarietà, che è una caratteristica necessaria della teoria scientifica (una teoria è tale solo se è falsificabile, diceva Popper), è stata messa in ombra dai progressi a cui si ha assistito e dall’atteggiamento spesso propagandistico di alcuni membri della comunità scientifica, al punto che la scienza ha perso la sua connotazione più importante, la precarietà, per diventare invece, agli occhi dell’uomo contemporaneo, la portatrice di verità assolute: è diventata, insomma, un oggetto di fede.

Non esiste una scienza “ufficiale”

Questa fede incrollabile è ora messa a dura prova dall’epidemia di coronavirus: la società ipertecnologica e iperscientifica, con tutte le sue meraviglie e le sue promesse, non appare in grado di fare fronte a un virus che sta stravolgendo gli stili di vita, le economie, le società e le credenze non di uno Stato singolo o di una zona del mondo sottosviluppata ma dell’intero pianeta. Un pianeta che reagisce al virus nello stesso modo in cui hanno reagito alle epidemie le società del passato, perlomeno dal rinascimento in poi. Con una differenza, però: che mentre le società prescientifiche adottavano comportamenti standard dettati sia dalla tradizione che da un sapere scientifico provvisorio e spesso intuitivo, lasciando un certo spazio anche alla spiegazione mistico-religiosa, oggi l’adozione di questi comportamenti (lavarsi le mani, mantenere una certa distanza, etc) viene presentata come una grande scoperta, come il risultato di un profondo e complesso sapere scientifico, quando in realtà è una scoperta dell’acqua calda. E non solo: appena si chiede agli scienziati di andare oltre queste banalità, di spiegare, per esempio, quale distanza di sicurezza mantenere o se le mascherine sono o meno efficaci (e quali), si ricevono mille risposte contraddittorie ma tutte difese con uguale energia e sicurezza.

Chi mette fine a questa babele, a questo caos di opinioni, a questi dibattiti? Nessuno. O, meglio, succede che a un certo punto arriva una qualche istituzione che gode di fama, come l’Oms o l’Iss, che sceglie una risposta e la “ufficializza”. Ma questa “ufficializzazione” della proposta e la sua (della proposta) conseguente accettazione da parte del mondo politico, cioè da parte di chi dovrebbe decidere cosa fare, è più un atto politico che una stipulazione scientifica: non è che gli esperti dell’Oms, dell’Iss, del Cts o di qualsiasi altra organizzazione o istituzione abbiano poteri soprannaturali che permettono loro di giungere alla “giusta” spiegazione, senza commettere errori: sono esseri umani che, per quanto competenti, possono sbagliare e che lavorano con teorie fragili e mutevoli; se così non fosse, non si contraddirebbero uno con l’altra e, probabilmente, si saprebbe molto di più sul coronavirus e sulla sua diffusione.

Ecco che cosa l’epidemia di coronavirus mostra al mondo: che, al contrario di ciò che tanti hanno creduto sinora, la conoscenza scientifica è precaria, forse addirittura la più precaria fra le forme di conoscenza, che non è imbattibile e che bisogna dunque smettere di divinizzarla e di divinizzare coloro che la rappresentano, i cosiddetti esperti.

Edoardo Santelli

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4 comments

Cesare 18 Aprile 2020 - 3:40

Complimenti all’ autore per l’articolo.La dittatura della finanza che crea in forma privata ed a costo zero il denaro con cui depreda le nazioni, tramite i suoi spesso pseudoscienziati, ci vuol far credere che vi è una casta superiore in grado di decidere i destini dell’ umanità , nemmeno fossero Dei.Dopo averci imprigionato per un virus che non ha nemmeno una alta mortalità(se consideriamo i milioni con anticorpi positivi) provvederà ad impossessarsi dei nostri beni pubblici e privati rimasti ed a numerarci e controllarci come fossimo bestie

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Fabrizio 18 Aprile 2020 - 5:38

Direi: parole sante! Tutti questi esperti che in televisione ed alla radio si producono in performances sono dei venditori di fumo che non vogliono ammettere i loro limiti coadiuvati da una classe politica incapace di scelte e decisioni. Povertà intellettuale e disonestà dilagano in questo povero Paese allo stremo.

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Daniele 18 Aprile 2020 - 6:05

se uno come burioni deve rappresentare la scienza, siamo veramente perduti

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Zito 19 Aprile 2020 - 4:41

Non so se sono più coglioni quello che scrivono certe cose o quelli che le commentano mostrando entusiasmo…. di certo sparirete.

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