Roma, 23 mag — “Cancel Culture” o “call out” culture è un neologismo che fa riferimento ad una forma di ostracismo, nella quale un individuo, un’opera, un’idea, vengono tagliati fuori dai circoli sociali e professionali (la cosiddetta morte civile) o, semplicemente, qualora si tratti di idee, fatti storici o opere artistiche, cancellati dai libri, rimossi dai musei, censurati o distrutti. Un po’ come quello che tempo fa tutto il mondo rimproverò ai talebani, quando distruggevano statue e manufatti in qualche modo invisi all’Islam radicale.
I fautori di queste nuove ideologie – nuove in quanto applicate per la prima volta in modo diffuso e non ai soliti pochi noti che tutti conosciamo – non fingono più di adoperare il famoso “dialogo” o lo “scambio”, ma non potendo affrontare la parte avversa per eccessiva emotività o debolezza delle proprie tesi, si mettono a coprire, vandalizzare e distruggere statue equestri di grandi uomini (bianchi) del passato, la cui unica colpa è quella di aver vissuto la propria epoca, oppure ad urlare istericamente (ricordiamo il meme vivente che sbraita contro l’elezione di Donald Trump).
L’America si ritrova nel new western di 1883 e Yellowstone
Ad ogni modo, se è certo che la cultura della cancellazione nasce in America, altrettanto vero che proprio lì nasce una sana e solida reazione. Ci riferiamo al filone cinematografico detto new western e, in particolare, alle serie televisive 1883 e Yellowstone, che stanno avendo, nell’America bianca e non solo, un successo assoluto. Le due saghe narrano della conquista del West vista attraverso gli occhi del clan Dutton, in modo a dir poco liberatorio; 1883 è lo spin-off di Yellowstone che, invece, si svolge in epoca moderna e, dalle fortunate mani di Taylor Sheridan (attore, scrittore, regista, sceneggiatore), aspettiamo una serie intermedia, ambientata sempre nello stato del Montana, ma in un altro periodo storico.
Quello che colpisce in 1883 e Yellowstone, a parte la bravura degli attori (con un Kevin Costner strepitoso, che partecipa anche in veste di produttore), la magnificenza dei luoghi, la bellezza dei dialoghi – talvolta di portata quasi filosofica – è la naturalezza con cui si muovono e interagiscono i protagonisti, nativi, bianchi, neri, spesso nemici, ma sempre auto situatisi sullo stesso piano virile (che siano donne e uomini, tra l’altro). Con odio, ma con rispetto, con violenza, ma con comprensione, con quella cattiveria tipica dei popoli veri.
L’America, una conquista ancora in atto
Perché l’America è anche questo: una conquista ancora in atto, ovvero, quello che noi, popoli vetusti e in ginocchio – con la colpa di essere stati per troppo tempo in piedi, sempre a scusarci per il colonialismo, le crociate, i papati, le guerre… – abbiamo cancellato, spesso da soli, senza aiuti esterni di sorta.
Certo, è vero che l’America, il nuovo mondo, si è costruito proprio su basi comunitarie, in modo che ognuno potesse conservare la propria tipicità (il che si riversa anche sulle produzioni cinematografiche settoriali, così come quelle musicali e artistiche in generale), ma queste saghe ci ricordano che l’Occidente ha ancora qualcosa da dire sulla grande epopea dei pionieri di ieri e di oggi. Immaginate che bello se anche noi avessimo produzioni simili, ad esempio su Fiume, su Roma (non i pasticci holliwoodiani, ovviamente), sulla nostra lunga storia e ancor più lunga memoria…
Chiara Del Fiacco
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[…] genere in una storia ambientata però ai giorni d’oggi. Nacque così l’idea di Yellowstone, una saga familiare ambientata in un immenso ranch del […]