Roma, 6 mar – “Per la parte granata vincere è una questione d’onore, per quella bianconera di soddisfazione.” Non poteva usare parole migliori Walter Casagrande, centravanti brasiliano dell’ultimo “grande” Torino, per descrivere il derby della Mole, di gran lunga il più particolare (e al momento squilibrato) dello stivale. L’ex attaccante paulista – in Piemonte dal 1991 al 1993: Coppa Italia, terzo posto e finale Uefa – nella personale rubrica sulla rivista “O Globo” ricorda inoltre il Delle Alpi come “uno stadio pieno delle due metà della città: la parte ricca e la parte operaia”.
Le due metà della città
Un particolare non da poco in quanto fin dalle origini il dualismo socio-economico (oltre a quello sportivo) è sempre stato netto e ben definito. I più titolati del belpaese nascono (1897) in un pettinato liceo del capoluogo sabaudo mentre qualche anno più tardi un manipolo di dissidenti unisce le forze per fondare la seconda squadra locale, che prende il nome stesso della città per scaldare gli animi della parte più popolare. Differenze che si acuiscono nel 1923 – inizio della (quasi) secolare dinastia Agnelli – ma cambiano nel periodo del “miracolo economico”: il tifo bianconero si allarga agli operai provenienti dal mezzogiorno, trasformando la rivalità pedatoria su coordinate diverse. Mentre il Torino rimane custode dello spirito cittadino, la Juve elude ogni campanilismo apprestandosi a diventare la squadra più amata (nonché odiata) d’Italia.
2001/2002: la stagione della “buca”
Il divario – calcisticamente parlando – si allarga per l’appunto a metà anni ‘90: dal 1995 (stagione dell’ultimo doppio successo granata) ad oggi Madama non ha fatto punti contro i cugini solamente in una delle 34 gare disputate. In questa strada a senso unico risaltano però i pareggi della stagione 2001/02. L’andata è rocambolesca: Del Piero guida i gobbi, che sono sul 3-0 già a metà della prima frazione. Nel secondo tempo succede l’inverosimile: i neopromossi ristabiliscono la parità ma a un giro di lancette dalla fine viene fischiato un rigore in favore degli uomini di Lippi. Tra Salas e il punto del 4-3 c’è però l’astuzia di Maspero (autore oltretutto del pari definitivo), il quale furtivamente scava con la punta del piede una piccola buca in prossimità del dischetto. Il cileno, non accorgendosi di nulla, spara alle stelle.
Maresca incorna il Toro
La voglia di rivalsa bianconera per la beffa subita cova fino al ritorno. La Juventus intanto – in serie positiva da 11 partite – si è prepotentemente inserita nella lotta scudetto tra Inter e Roma mentre i cugini progettano un altro sgambetto. Il vantaggio della Vecchia Signora viene ribaltato – ancora nei secondi 45’ di gioco – grazie a Ferrante e Cauet (l’ultima rete granata in un derby, almeno fino a novembre 2014). Bucci è costretto agli straordinari ma la sensazione è che il fortino possa tenere fino al triplice fischio. Solo un’impressione appunto. Al minuto 89, su un traversone senza troppe pretese, Maresca ai sedici metri anticipa tutti e incorna in rete con un imperioso colpo di testa.
Per il giovane campano è la prima marcatura in massima serie e – con l’irriverenza propria della verde età – si lascia andare in un’esultanza-sfottò che passa alla storia: l’incredula corsa si trasforma nell’imitazione del centravanti avversario, solito festeggiare mimando il simbolo della città sabauda. L’oltraggio – così come il punto ottenuto in extremis – è pesante e, manco a dirlo, fa partire la classica caccia all’uomo.
Ci penseranno poi i veterani – lo stesso Bucci “le zebre non possono diventare tori” e Ciro Ferrara “voleva fare l’esultanza della zebra ma non sa come si fa” – a gettare acqua sul fuoco. Cose che capitano insomma, e auspichiamo possano – a maggior ragione in questo calcio succube del politicamente corretto – accadere ancora: per essere un vero derby non deve finire mai.
Marco Battistini