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Olimpiadi del doping, provocazione “trumpiana” o nuova frontiera per l’uomo?

by Marco Battistini
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Roma, 22 feb – Si chiamano Enhanced Games, per qualcuno – non a torto, va detto – “Olimpiadi del doping”. O degli steroidi, poco cambia. Sì, perché, stiamo parlando dell’iniziativa alla quale possono partecipare atleti che usano anabolizzanti e sostanze dopanti. Supportato, ça va sans dire, da società farmaceutiche e biotech. Ma non solo. Come riporta La Gazzetta dello Sport tra i promotori troviamo infatti anche Don Trump jr.: il primogenito del presidente americano – e consigliere dello stesso – sta cercando finanziatori che possano contribuire al particolare evento.

Sport, scienza e tecnologia

We are reinventing sports with science, scrivono sul sito ufficiale. Reinventare lo sport per mezzo di scienza e tecnologia, quindi. In tutta sicurezza – sempre a detta loro. Tutti gli atleti che prenderanno parte agli Enhanced Games – che dovrebbero svolgersi entro il 2026 – saranno sottoposti a un’accurata valutazione medica definita all’avanguardia. Monitoraggi cardiaci, analisi di sangue e urine, studio dei fattori di rischio, valutazione delle risposte del corpo e scelta degli integratori più adatti. E ancora imaging muscolo-scheletrici e cerebrali, fino al sequenziamento del Dna – onde evitare rischi per la salute ereditari o specifici dell’ambiente. Senza dimenticare ovviamente l’osservazione della prestazione fisica.

Tutto molto bello (a parole). Ma chi paga i “compensi superiori a qualsiasi altra competizione”? Eccoci al cono d’ombra, se così vogliamo chiamarlo. Ossia ai grandi imprenditori che sponsorizzerebbero il carrozzone dei “giochi potenziati”. Pescando da quelli di maggior successo al mondo, fanno sapere direttamente dal sito internet. Appunto: quando il capitale transnazionale si muove lo fa per ingrassare il portafoglio.

“Olimpiadi del doping” e vita civile

Come intuibile, il 99,9% del mondo sportivo ha accolto negativamente le già c.d. “Olimpiadi del doping”. A dirla tutta l’idea non fa impazzire nemmeno chi scrive. Proviamo però a fare un passo oltre, rispondendo in altri termini a quella che – almeno ad oggi – ha tutta l’aria di essere la tipica provocazione “trumpiana”. E se l’utilizzo della farmacologia per migliorare l’essere umano fosse una nuova frontiera?

Lasciamo per attimo da parte l’ambito sportivo (e la questione etica dell’ingiusto vantaggio). Come suggerisce brillantemente Guido Taietti in un recente video di Progetto Razzia, sarebbe razionale rifiutare aprioristicamente rigorose ricerche scientifiche, magari con rigidi protocolli, che possano amplificare in positivo caratteristiche fisiche e migliorare le qualità cognitive? Eppure – al contrario – il mondo in cui viviamo rende socialmente accettabile sigarette e alcol. Che proprio non fanno parte degli elisir di lunga vita. 

Si somministrano con relativa facilità psicofarmaci, per non parlare di come viene percepito da certa vulgata l’utilizzo ricreativo di sostanze stupefacenti (volgarmente: sballarsi) tra i giovani. In Italia sempre più persone si avvicinano alla medicina estetica, mentre nel mondo c’è chi considera normale somministrare a un adolescente bloccanti della pubertà per curare la disforia di genere.

Etica e politica 

Ovviamente non tutti gli esempi di cui sopra hanno lo stesso peso specifico. E non sempre si può accettare (o rigettare) un discorso tagliandolo di netto: il giusto uso terapeutico dei cannabinoidi, ad esempio, nulla c’azzecca con l’inutilità della legalizzazione delle droghe leggere. In linea di massima si va a toccare anche il piano etico, quello politico, dei costi sociali e della libertà personale.

Ma il modello umano che si è imposto in Europa dalla seconda metà del ‘900 in avanti mira davvero a vivacità intellettiva e prestanza fisica? O al contrario possono essere visti da chi influenza il livello mediatico come una potenziale problematica? Il nodo probabilmente è “solo” culturale.

Marco Battistini

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