Roma, 8 mar – Da bambini (almeno parlo per quelli come me, che non appena si aveva età senziente correvamo a giocare in strada con un pallone e quattro amici… ora si sa che le cose sono cambiate) tutti sognavamo di diventare calciatori. Poi ovviamente la quasi totalità si accorgeva che ciò non sarebbe mai successo ed allora si ripiegava sul sogno di commentare le grandi finali, perché prima Nicolò Carosio (che non ho fatto in tempo ad ascoltare, se non nei ricordi di mio padre), poi Nando Martellini e, infine e soprattutto, Bruno Pizzul ci avevano insegnato che poteva essere bello quasi quanto segnare un goal decisivo.
Calciatore e insegnante
Ecco perché la morte di Pizzul, all’età di 86 anni, ci ha fatto fare un emozionante viaggio nel tempo e nella memoria. Perché sarà pur vero che tutto ciò che ci riporta alla nostra adolescenza sembra sempre più bello, ma, in un mondo di Caressa e Adani, quello del telecronista friulano era davvero “tutto molto bello”, come amava dire, con semplicità, per esaltare un trionfo sul campo.
Nato a Udine nel 1938, tentò la carriera calcistica. Di stazza imponente divenne un buon centromediano tra Catania, Ischia e Udinese, prima di ritirarsi a causa di un brutto infortunio al ginocchio. Laureatosi in Giurisprudenza, insegnò materie letterarie alle scuole medie, un’esperienza che ricordava sempre con grande orgoglio. Del resto erano i tempi nei quali gli insegnanti facevano veramente gli insegnanti. Poi, spinto dalla moglie (lui era troppo indolente, tanto da non prendere nemmeno mai la patente), decise di rispondere ad una chiamata della Rai.
E così nel 1969 viene assunto come radio-telecronista, debuttando nel 1970 con Juventus-Bologna. Si presenta in ritardo di 15 minuti, ma per sua fortuna la partita veniva trasmessa in differita. Nel 1972 commenta la sua prima finale (Germania Ovest-URSS degli Europei), mentre nel 1973 celebra il successo di una squadra italiana in una competizione europea: il Milan sconfigge il Leeds United e conquista la Coppa delle Coppe. Sarà il primo di tanti successi che Bruno annuncerà con la sua consueta flemma.
Bruno Pizzul, il telecronista della Nazionale
Con la Nazionale invece non ebbe altrettanta fortuna. Seconda scelta dopo quella di Nando Martellini (che ebbe l’onore di commentare il trionfo al Mondiale di Spagna ’82, lui che si trovò a parlare di calcio quasi per caso, se pur con grandissima professionalità, visto che non ne era mai stato un grande appassionato, al contrario della Formula 1), gli subentrò in corsa nel Mondiale messicano del 1986, dopo che il collega fu colpito da un malore. Da allora non perse più il posto fino al 2002.
E durante tutto questo lasso di tempo, di fatto, divenne la voce rassicurante delle grandi sconfitte azzurre: la semifinale di Italia ’90 contro l’Argentina, la finale di USA ’94 contro il Brasile e la finale degli Europei olandesi del 2000 contro la Francia, tanto per citare le più amare. La sua triste voce al termine di esse ti insegnava che il calcio potesse essere amaro come la vita, ma che si poteva essere fieri di quanto si aveva fatto e di guardare avanti verso un trionfo che prima o poi sarebbe avvenuto. Come poi accaduto nel successivo Mondiale di Germania 2006.
Non si fece mai un cruccio di non aver potuto gridare “Campioni del Mondo!”, si riteneva una persona troppo fortunata per amareggiarsi di ciò che non poteva dipendere dal suo controllo. Del resto, al di là del calcio, amava la famiglia, gli Alpini, il suo Friuli, le bocce ed il buon vino. Oltre ad essere tifoso del Torino.
“Ed è goal”
Al di là della sua biografia, difficile per me non entrare nel mio vissuto personale parlando di lui. Ci sono i tanti trionfi del Milan scanditi dalla sua voce, tanti ascoltati solamente a posteriori perché mi trovavo allo stadio. Trionfi che, ancora adesso, ascoltando la sua voce su YouTube mi fanno emozionare. Quando il Milan vinse a Barcellona in Coppa dei Campioni nel 1989 mi trovavo al Camp Nou, ma mi feci registrare la partita da un vicino di casa che possedeva il videoregistratore.
Quando in famiglia lo comprammo anche noi, credo di aver consumato quella VHS a furia di vederla e rivederla. Ci sono le sue celebri espressioni: tutta la semplicità nel dire “Ed è goal”, oppure “La lotteria dei rigori”, che non è affatto una lotteria, ma Pizzul la faceva sembrare una cosa quasi ineluttabile come la morte o le tasse.
Il triste capolavoro di Bruno Pizzul
Ma soprattutto c’è il suo triste capolavoro, la terrificante notte dell’Heysel del 29 maggio 1985. Avevo quasi 10 anni, ma rimasi alzato fino alla fine della “partita”: Pizzul fu costretto dagli eventi ad andare a braccio, ad improvvisare sopraffatto da eventi dei quali era solo parzialmente a conoscenza, con l’ingrato compito di essere ascoltato anche da parenti e amici dei presenti allo stadio. I quali, in un’epoca pre cellulari e internet, stavano vivendo un’angoscia indescrivibile.
Mantenne perfettamente la barra dritta. Senza cadere né nel pietismo né nel sensazionalismo, in un perfetto esempio di televisione che sembra descrivere la lezione di John Ford nel fare cinema, quando la morte ha fatto capolino sulla scena. Mantenerla presente senza ostentarla, perché il primo dovere è quello di rispettare le vittime, un qualcosa che oggi purtroppo è andato completamente perduto. Ecco perché suonano abbastanza ridicole le commemorazioni postume di chi oggi lo definisce “Maestro”, ma che non sembra aver affatto appreso le sue lezioni. Grazie Bruno per tutti i ricordi. È stato davvero tutto molto bello.
Roberto Johnny Bresso