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20 marzo 1815, quando Napoleone tornò in sella e costrinse alla fuga Luigi XVIII

by Stelio Fergola
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napoleone cento giorni

Roma, 20 mar – “Cadde, risorse e giacque”, scriveva Alessandro Manzoni nel suo popolarissimo “Cinque maggio”, data di morte del generalissimo nel 1821 e che lasciò tutti senza fiato, per l’importanza del personaggio, per l’impronta che aveva lasciato nella politica europea, per l’imponenza indiscutibile, al di là dei giudizi di valore. Il personaggio era Napoleone Bonaparte, assurto a vero mito francese nel corso della prima parte del XIX secolo, non solo come uomo di governo ma anche come stratega militare, senza dimenticare quella irruenza che, forse, fu la causa della sua caduta. In ogni caso, la data del 20 marzo è da ricondurre alla seconda parola del verso di Manzoni. “Risorse”. Perché il 20 marzo 1815 il Bonaparte risorse sul serio, spinto dalla sua irrefrenabile voglia di riscossa e da un universo militare che, dopo l’esilio a lui comminato nell’isola d’Elba ufficializzato nell’aprile dell’anno precedente, non lo aveva ancora dimenticato.

Napoleone e i Cento Giorni

Con il ritorno in Francia e nella stessa Parigi in quella data, per Napoleone iniziò il famoso periodo dei “Cento Giorni”. Perché tutto si sarebbe risolto nel giro di poco più di tre mesi. Non favorevolmente, per l’Imperatore francese, che vide in quel sussulto l’ultima fase di una storia gloriosa e mitologica. Napoleone che fugge dall’Isola d’Elba e decide di tornare in Francia, nonostante la rendita concessagli da chi lo estromise, la sovranità dell’Isola e una vita assolutamente comoda, per agi e tranquillità. La storia del Bonaparte è forse la migliore prova di come i personaggi storici, non importa quanto criticabili o meno, non sempre agiscano per tornaconto. E la stessa demonizzata e semplificata “sete di potere” non è per forza un atto egoistico, ma in certi casi una vera e propria filosofia. Napoleone voleva tornare a guidare la Francia ad ogni costo, e la scelta fu tutto tranne che comoda. Al punto da mettersi in prima persona, come già aveva fatto in passato, per sfidare i suoi nemici. Il carisma del personaggio è testimoniato dalla faciltà con cui riuscì a convincere i quadri dell’esercito a tornare con lui, nonostante fosse stato loro ordinato di fermarlo. Dalla “fregola” con cui Luigi XVIII scappò, appena avuta notizia del ritorno del generalissimo e ancora ufficialmente Imperatore. Sulla resurrezione manzoniana è difficile porre dei dubbi. Perché Bonaparte in quei Cento giorni raccolse davvero tutti attorno a sé. Come nessun dubbio, oggettivo, si pone sull’ultima parola: “Giacque”.

La sconfitta e la fine

Sarà un ritorno di fiamma in ogni senso. Il Napoleone dei Cento Giorni si distingue per una operosità politica e strategica notevoli, questo sì. La nuova Costituzione dell’Impero doveva prevedere una Camera dei Pari scelti dallo stesso Bonaparte e una Camera dei Rappresentanti composta da 629 deputati eletti dai francesi di almeno 25 anni, con voto palese. Poi c’è la guerra alla settima coalizione, quella composta, tra i vari, dal Regno Unito guidato dal Duca di Wellington, dalla Prussia, dai Paesi Bassi, dall’Impero Russo. Quell’ultima coalizione antinapoleonica che allla fine la spuntò, nonostante l’Imperatore avesse preparato la battaglia con ogni sua risorsa. Numericamente inferiore, l’esercito francese dovette piegarsi alla voglia irrefrenabile, per le altre Nazioni europee solleticate soprattutto da Londra, a far tirare le proverbiali cuoia. Il 18 giugno 1815, Napoleone fu sconfitto definitivamente e la sua esperienza politica passava all’interesse esclusivo dei posteri e degli storici. Emblematica la decisione di esiliarlo, questa volta, nel più profondo Oceano Atlantico. Per ostacolare un “secondo ritorno” che con un personaggio così indomito non si può mai escludere…

Stelio Fergola

 

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