Roma, 18 giu – Che razza di democrazia è quella che teme il nome dato ad una via? E che razza di nazione è quella che nasconde i giganti della propria storia politica – che essi piacciano o no – sotto il tappeto della rimozione ad hoc, perpetrata sempre verso la medesima parte, verso i soliti soggetti ai quali si vorrebbe negare anche il diritto ad essere rimembrati? Una nazione idiota, ecco cosa, e governata da persone banalmente vili.
La grottesca vicenda riguardante l’intitolazione di una via ad Almirante pone sotto i riflettori alcuni aspetti riguardanti la condizione comatosa cui versa la sinistra che, a corto di idee, persevera nel dichiararsi antifascista in mancanza del fascismo. Appare evidente come sia meschino infierire sul cadavere di un galantuomo come fu Almirante, politico eccezionale e sempre corretto avversario, vietando di intitolargli una via, trattandolo come un qualsiasi brigante di serie b, come un pericoloso sovversivo la cui memoria va dispersa nel mare della rimozione coattiva, proseguendo nel cammino di una guerra ad un mostro inesistente quale il fantasma di un fascismo morto e sepolto da decenni. E che tutto ciò venga fatto dalla signora Virginia Raggi, successivamente al voto favorevole del Movimento 5 stelle alla mozione per l’intitolazione, ribadisce un concetto noto e che in passato avevamo già evidenziato: l’elettorato grillino è prevalentemente di sinistra, quella intransigente e oltranzista, annoiata da Renzi e Gentiloni ed emigrata nella protesta fine a sé stessa. Per quanto possa sembrare noioso, è oltretutto scandaloso il meccanismo con cui esponenti più o meno di spicco del Movimento vengono sistematicamente “aiutati” nelle loro mosse da una Spectre la quale controlla che le aspettative del proprio elettorato non vengano deluse.
Roba da poco? No, dato che loro ci fanno due palle così con la questione della trasparenza, manco dovessimo essere fatti di vetro. In Italia ci sono vie dedicate a chiunque, da Stalin a Lenin, da Ho Ci Minh alla Rivoluzione d’Ottobre, tra personaggi ed eventi storici che hanno segnato negativamente la vita dell’umanità intera. E potremmo essere addirittura d’accordo con l’idea di intitolare delle vie ai personaggi fondamentali per la storia del mondo, belli o brutti che fossero, eliminando dunque il conto di morti e devastazione che hanno contribuito a creare. E dunque, per quale motivo deve essere alzato un polverone di questo genere per Gabriele D’Annunzio e Giorgio Almirante? Tito va bene mentre il Vate rischierebbe di innervosire i cretini dei centri sociali che inneggiavano al massacratore di italiani durante il Giorno del Ricordo?
Ma non importa impazzire nella ricerca di una logica in questo gran marasma, poiché è purtroppo e drammaticamente semplice individuare la fonte di cotanto astio: un’ideologia, la loro, che non prevede né il dissenziente né l’apertura verso opinioni diverse. Queste ultime sono ritenute un peso, un palla al piede di cui disfarsi velocemente e la storia più o meno recente che le ha viste nascere e fiorire merita di essere sbianchettata dai libri scolastici. È il solito metodo idiota, adottato dai più, secondo il quale quando si discute con uno di destra o di estrema destra lo si deve preventivamente interrogare su Mussolini, sul fascismo, sul nazismo, sulle leggi razziali e sui campi di concentramento. Una volta esaurita la raffica di domande intelligentissime e brillantissime del tipo “ma te condanni l’Olocausto?”, allora lor signori si degnano di concedere al dirimpettaio un minuto per esporre il suo barbaro pensiero. Formigli, quando partecipò al dibattito a CasaPound a Roma con Di Stefano, avviò dichiarando la propria pregiudiziale antifascista. Nessuno glielo disse, ma si sarebbe meritato un sonoro “e sti grancazzi!”, sia per l’odiosa spocchia con cui si dichiarava tale e sia per il sottotesto di quella sua dichiarazione: ritenere un criminale chiunque abbia un’opinione sul fascismo differente dalla propria. L’opinione della persona, derivante da un processo culturale che non si arresta mai, viene messa in stand-by nell’attesa che l’interrogatorio finisca, e nel caso in cui gli inquirenti non si dicano soddisfatti, scattano manette ai polsi e cerotto sulla bocca.
Ma il fascismo, come tutto del resto, ha lasciato chiari segni del suo passaggio: edifici, monumenti, scritti, canzoni, motti e parole. Se ad Almirante una via non si può intitolare per il suo passato da fascista e poi da missino, logica vuole che ogni cosa che risulti legata a quel periodo venga abbattuta e fatta scomparire. Tutto nel nome della negazione al diritto alla memoria e alla libertà di sentimenti e di pensiero. Il fascismo, che lo si voglia o no, fa parte del nostro paese e della nostra storia, senza doverlo relegare al ruolo di Male assoluto, senza utilizzarlo come spartiacque per distinguere i cittadini diligenti da quelli da bacchettare, conservandone la memoria critica, lo studio, i testimoni e gli attuali simpatizzanti. La dittatura che si portò appresso non potrà tornare per un assetto legislativo impenetrabile, e dunque la sindaca Raggi dovrebbe dormire sonni tranquilli lasciando che la memoria dell’erede della Repubblica sociale possa essere custodita in un nome. Non avverrà però tutto ciò, e Almirante sarà l’ennesima vittima sacrificale immolata sull’altare del perbenismo antifascista, idiota e illiberale fin dentro i capelli. È il conformismo di idee, propagandato e talvolta ottenuto da questi signori, che genere il fascismo: una sola opinione da cui nessuno può prendere le distanze.
Lorenzo Zuppini