Roma, 13 sett – Le tasse sugli extraprofitti alle banche decise dal governo di Giorgia Meloni stanno facendo molto discutere ma è difficile non trovarvi alcun aspetto positivo. L’Abi, nel frattempo, sbraita. E viene spontaneo osservare: che sbraiti pure. Il tema vero però è un altro: ovvero la necessità di tenere effettivamente sotto controllo istituti come quelli di credito che, come tutto ciò che viene lasciato a sé stesso nel contesto del libero mercato, è da anni una scheggia impazzita completamente nelle mani del delirante mercato finanziario. O quanto meno di imporre regole serie, in grado di “ordinare” quella che è diventata negli ultimi anni una vera e propria giungla economica.
Sì alle tasse sugli extraprofitti, ma le banche andrebbero nazionalizzate
Come dimostrano i casi di Credit Suisse e di Silicon Valley, le banche totalmente in mano al libero mercato sono completamente imprevedibili, addirittura nelle regole che stabiliscono spesso “in corsa” e a seconda della situazione. In particolare, il fallimento della Silicon Valley fu una dimostrazione evidente di un fatto: nella giungla dei mercati finanziari sciacalli del capitalismo liberista, a rispettare le regole sono sempre i piccoli soci, mentre i grandi azionisti sono salvaguardati e con le “chiappe” (si perdoni il termine diretto, ma necessario) all’aria. Dalla crisi del 2008, solo negli Usa, sono fallite più di 400 banche. Numeri inauditi, che noi non immaginiamo nemmeno. Ma che potremmo iniziare a vedere con i nostri occhi continuando a seguire un modello spericolato oltre ogni limite, oltre che suicida. Come risolvere tutto questo? Soltanto con una nazionalizzazione delle banche, o con un sistema di regole rigido che imponga ai banchieri “cosa voler fare da grandi”. Qualcosa che l’esempio del nostro remoto passato, come la riforma del 1936, ci insegna da troppo tempo, senza che vi prestiamo alcuna attenzione. Regolamenti più rigidi potrebbero aiutare, in attesa di un controllo effettivo degli istituti che però – purtroppo – nelle condizioni attuali resta quasi un’utopia.
Ideali e – amara – realtà
Chiaro che si parla di situazioni ideali e non certamente di realtà concrete, allo stato attuale delle cose. Si parla di come un settore delicatissimo e importantissimo dovrebbe funzionare allo scopo di tutelare sia il credito, che gli investimenti che i comunissimi correntisti. La realtà che ci troviamo davanti tutti i giorni, ahinoi, è quella di uno Stato costretto ad elemosinare risorse che non è in grado di fare quasi nulla, neanche controllare i propri confini territoriali, figuriamoci gestire le banche. Pesa, come al solito, la necessità di “trovare risorse”, in questa continua, asfissiante, inutile corsa a “non spendere”, perché c’è il debito da pagare – che peraltro non si ripaga mai e che continua a drenare come una sanguisuga infinita – praticamente per qualsiasi cosa. Per mantenere le scuole, per mantenere gli ospedali, per mantenere le strade, e sì, anche per avere un controllo effettivo degli istituti di credito. La domanda da fare, anche alla luce delle “ideone” del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti il quale qualche settimana fa pianificava di vendere le Poste e i porti per “trovare risorse” per la prossima manovra finanziaria, è: ma quando le cose da svendere finiranno, su cosa si punterà? Ovviamente, è una semplificazione. Che però non va molto lontana dal punto focale di questa tristissima situazione.
Stelio Fergola