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Angelo Pistolesi: il missino colpito a tradimento dai “Nuovi Partigiani”

by Salvatore Recupero
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Roma, 28 dic – Angelo Pistolesi, trentuno anni, sposato con due figlie (Doriana e Sabina, rispettivamente di dieci e sette anni) lavorava all’Enel come impiegato. Il 28 dicembre 1977, mentre andava a lavoro, venne freddato con tre colpi di pistola davanti alla sua abitazione in via Statella, a Roma (tra il quartiere Magliana e Gianicolense). Inutile la corsa in ospedale, il colpo al cuore, sparato a bruciapelo, non gli aveva lasciato scampo. Cosa aveva spinto un killer ad uccidere un giovane padre di famiglia? Semplice, Pistolesi era un missino, per giunta aveva anche la fama di essere un duro. Eravamo gli anni in cui “Uccidere un fascista non era reato”, quindi in fondo quella morte se l’era cercata.

Il nero era colpevole anche quando veniva ammazzato. E non erano solo i compagni a dirlo. Infatti, il giorno stesso, la questura diffonde una nota, immediatamente ripresa dai giornalisti, con tutti i precedenti penali del ragazzo. Ovviamente tutti i quotidiani commentarono l’accaduto partendo dai piccoli reati legati alla sua attività politica. Significative le dichiarazioni rilasciate alla stampa dagli inquirenti. Secondo il capo dell’ufficio politico della Questura Domenico Spinella e il magistrato di turno Vittorio Laquaniti, “il delitto poteva essere legato ai suoi rapporti con la malavita (da notare che Pistolesi in passato era stato accusato solo di aver emesso assegni a vuoto – ndr). Oppure si trattava di una faida tra fascisti”. Nessuna ipotesi andava esclusa tranne una: la rivendicazione delle Brigate Rosse. Anche se qualche ora dopo l’attentato il delitto era stato  rivendicato dalla sigla “Nuovi Partigiani”. I giornali ne approfittano per fare da cassa di risonanza.

Secondo Il Messaggero, (articolo anonimo del 29 dicembre 1977 ): “Allo stato attuale nessuna ipotesi si può scartare. Neanche quella di una faida tra gli ultras della destra. Angelo Pistolesi, una volta arrestato dopo il raid di Sezze, ha ‘cantato’, rivelando i retroscena della sanguinosa scorreria fascista. E adesso qualcuno potrebbe essersi vendicato. Oppure ha pensato bene di chiudergli definitivamente la bocca, visto che era uno che sapeva troppo”.

In questo articolo viene citato un episodio che è bene raccontare brevemente perché per molti fu il vero movente di questo omicidio. Il 27 maggio del 1976 alla vigilia delle elezioni politiche, l’onorevole Sandro Saccucci porta a termine il suo tour elettorale nella provincia di Latina. Al suo fianco tra gli altri anche Angelo Pistolesi che guidava una delle automobili che formavano questa particolare carovana propagandistica. L’ultima tappa sarebbe stata a Sezze Romano, una cittadina in cui il Pci aveva la maggioranza assoluta. Per i militanti di Lotta Continua era una grave provocazione ma in realtà era un semplice comizio che al massimo poteva concludersi con un lancio di uova. Obiettivo dei compagni era quello di impedire con tutti i mezzi il comizio del Msi. Il paracadutista Saccucci, però, aveva un carattere sanguigno e difficilmente si sarebbe tirato indietro. Il palco fu allestito nella parte alta del paese, di conseguenza ogni via di fuga era bloccata. Ad un certo punto l’aria si fece pesante, e Saccucci rispose per le rime ai provocatori dicendo che i veri colpevoli delle stragi andavano ricercati all’interno della sinistra. A questo punto scoppiò il caos. Sul palco arrivò di tutto: bastoni, bottiglie di vetro, sassi. Per rompere l’assedio il deputato parà fece fuoco per aprirsi un varco.  I militanti di Lotta Continua cercarono di bloccare le vie di fuga e in questo parapiglia Pietro Allatta sparò tre colpi di pistola che colpirono a morte Luigi De Rosa. A questo punto ognuno cercò di mettersi  in salvo uscendo da Sezze per recarsi a Roma subito dopo aver fatto tappa alla Federazione di Latina. Appena fuori del capoluogo pontino la Polizia blocca alcune auto: tutti finiscono in Questura per essere sotto posti al guanto di paraffina.  Angelo Pistolesi insieme ad altri fu rilasciato perché trovato negativo al test. Certo questa ricostruzione dei fatti può essere confutata in alcune sue parti, l’unica cosa certa è che il giovane missino non aveva sparato. Un altro aspetto da non sottovalutare è che nessuno stava compiendo qualcosa di illegale. Se il comizio si fosse svolto senza quella violenta contestazione nessuno si sarebbe fatto del male. Non si capisce alla luce di quanto detto cosa può aver raccontato Pistolesi in Questura per aver inguaiato i suoi camerati. Inoltre, Saccucci e Allatta riuscirono a scappare all’estero. Come possiamo notare, è piuttosto ingenuo pensare che questo delitto possa essere legato ai fatti del maggio del 1976.

Se proprio siamo alla ricerca di un fil rouge, pensiamo a ciò che avvenne solo dieci giorni dopo. Quando in via Acca Larentia nel quartiere Tuscolano a colpi di mitra furono uccisi Franco Bigonzetti (20 anni) e Francesco Ciavatta (18 anni) da un gruppo di fuoco composto da cinque o sei persone. Fatale fu poi l’intervento delle forze dell’ordine nel caos seguito all’accaduto: i carabinieri spararono alcuni colpi in aria, mentre un esponente dei carabinieri sparò mirando ad altezza d’uomo, ma la sua arma s’inceppò. L’ufficiale si fece quindi consegnare la pistola dal suo attendente e sparò di nuovo, questa volta centrando in piena fronte il diciannovenne Stefano Recchioni. Tornando al delitto Pistolesi, forse gli inquirenti non avrebbero dovuto scartare in maniera frettolosa la pista dei “Nuovi Partigiani”. Purtroppo, però, anche in questo caso i compagni e le forze dell’ordine miravano allo stesso bersaglio.

Salvatore Recupero

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