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Anti Trump e pro Al Qaeda, la disastrosa notte degli Oscar del politicamente corretto

by Davide Romano
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oscar moonlight al qaeda white helmetsLos Angeles, 27 feb – Una notte degli Oscar che sarà ricordata senza dubbio per l’errore più clamoroso nella storia delle prestigiose statuette, ma anche per il trionfo del politicamente corretto. L’anziana coppia (forse troppo) formata da Warren Beatty e Faye Dunaway assegna il premio come miglior film a La La Land favorito della vigilia, per poi accorgersi del clamoroso errore solo quando le celebrazioni erano già in corso. Il premio infatti spettava a Moonlight, con l’errore dovuto alla lettura da parte di Warren Beatty e Faye Dunaway della busta con il nome della migliore attrice protagonista, premio assegnato a Emma Stone protagonista di La La Land. Tra l’imbarazzo generale e la rabbia del produttore di La La Land il premio è dunque andato a Moonlight, film certamente più in linea con il clima generale di critica a Trump, trattandosi della storia di un giovane afroamericano gay di Miami. Molto più attuale e in “linea” rispetto alla stereotipata storia d’amore tra Ryan Gosling ed Emma Stone.

Ma il premio ai “neri” dopo le polemiche insensate dello scorso anno sugli “Oscar troppo bianchi”, non è stato l’unico acuto politicamente corretto in una serata caratterizzata dagli attacchi al neo presidente Usa (oltre che dalla scarsa qualità dei film). Il conduttore Jimmy Kimmel ha esordito “ringraziando” Trump: “Vi ricordate quando l’anno scorso tutti dicevano che gli Oscar erano razzisti? E’ passato tutto, grazie a lui. Ci stanno vedendo da 220 paesi, che ora ci odiano tutti”, invitando poi i grandi media ad uscire dalla sala, sfottendo il presidente reo di non scrivere tweet contro la serata dell’Academy. A rincarare la dose ci ha poi pensato l’unico italiano premiato, Alessandro Bertolazzi, per il trucco di Suicide Squad: “Sono un italiano e quindi un immigrato, questo Oscar è dedicato a tutti gli immigrati”. Almeno una magra consolazione per i buonisti di casa nostra, che avevano riposto le speranze in Fuocoammare di Gianfranco Rosi, in nomination per la categoria miglior documentario e rimasto a bocca asciutta.

Il miglior film straniero è andato invece “The salesman” del regista iraniano Asghar Farhadi, anche lui non presente alla cerimonia come forma di protesta per il bando nei confronti di sette paesi islamici voluto da Trump. In compenso ha scritto un duro messaggio di condanna (ha definito il provvedimento di trump una “legge disumana”) che è stato letto per conto suo. Mahershala Ali è diventato invece il primo musulmano nella storia a vincere una statuetta come miglior attore non protagonista. Dulcis in fundo il premio come miglior cortometraggio a “White Helmets”, del siriano Khaled Kateeb. Prodotto da Netflix, il mini documentario (40 minuti) racconta le “imprese” di un gruppo di soccorritori impegnati soprattutto ad Aleppo. Gli elmetti bianchi erano saliti all’onore delle cronache dei media occidentali grazie al salvataggio del “piccolo Omran”. Il nome reale del gruppo in realtà è quello di Syrian Civil Defense, schierato nettamente contro Assad e promuovendo la causa di ribelli ed islamisti contro il legittimo governo siriano.

Come scrivemmo in un articolo mesi fa , la Syrian Civil Defense viene fondata nel Regno Unito nel 2013 grazie a fondi statunitensi e britannici e con la copertura politica del Syrian National Council (i gruppi armati “siriani” con sede a Istanbul). L’organizzazione di difesa civile, gli “angeli” che accorrono nelle zone bombardate, ha un organico di duemila uomini, addestrati ad Adana in Turchia ed opera solo nelle zone in mano ai “ribelli”. Recenti indagini hanno svelato il legame tra l’organizzazione e i gruppi terroristici, in modo principale Al Nusra (Al Qaeda), ora conosciuta come Jabhat Fateh al-Sham, in uno dei pochi casi al mondo in cui il gruppo-madre (Al Qaeda) è concorde, con tanto di approvazione pubblica, alla scissione di uno dei suoi gruppi affiliati più prestanti, Al Nusra per l’appunto, fulminato sulla via della moderazione. Oltre 40 milioni di dollari hanno finanziato, attraverso gli USAID (finanziamenti diretti da parte del governo federale degli Stati Uniti), i volontari “civili” di SCD, e guarda caso l’associazione “umanitaria” è tra le principale tra quelle richiedenti alle organizzazioni internazionali l’imposizione, fortunatamente mai avvenuta, della “no fly zone”. Negli Oscar del politicamente corretto il premio al documentario sui “volontari” di Al Qaeda è sicuramente la ciliegina sulla torta.

Davide Romano

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