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Arte distrutta: ecco come l’Isis finisce il lavoro degli Usa

by Simone Pellico
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isisBaghdad, 22 gen – Ninive, Nimrud, Hatra, St. Elijah. L’Isis continua a martoriare i resti delle civiltà che furono all’origine della storia, in quella mezzaluna che fu fertile non solo per i campi. Questo ne fa una sorta di attacco contro i padri, anche se da parte di figli degeneri, disconosciuti, improbabili. Si attaccano i simboli, l’arte, per cercare un passaggio edipico del testimone, un nuovo regime che vuole sostituire un antico impero. Forse per questo non è un caso che le picconate degli islamisti contro i monumenti richiamino, e proseguano, quelle dell’impero atomico americano a partire dagli anni ’90. La distruzione sistematica dei siti archeologici in Iraq ebbe infatti inizio nel 1991, quando il severissimo embargo decretato dall’Occidente causò condizioni di indigenza estrema agli abitanti delle campagne, costringendoli a compiere come principale rimedio alla fame scavi clandestini su vasta scala. La conseguenza tragica delle ruberie fu la migrazione dal paese di migliaia di reperti pregiati, a beneficio finale dei collezionisti e mercanti d’arte dell’Occidente stesso, con un gioco di prestigio che fa godere l’effetto a chi ha prodotto dolosamente la causa.

Non furono solo le opere d’arte ad abbandonare la propria sede a causa dell’embargo. Anche gli addetti ai lavori, gli archeologi furono investiti da una pauperizzazione che li portò a migrare verso il settore privato o altri paesi del Medio Oriente. In parallelo crollava il budget dello Stato iracheno, con pesanti ripercussioni sui fondi normalmente devoluti ad azioni di tutela e conservazione. Un ultimo colpo al settore era poi dato dalla forzata mancanza del turismo, che in precedenza aveva costituito una precisa entrata nel bilancio governativo. I siti archeologici erano quindi in diffuso stato di degrado, privi di custodia, aperti alle ruspe dei tombaroli e inquinati dal deterioramento strutturale causato dalla guerra. Una volta vinta, quella guerra, i militari americani si dedicarono presto a scavi estemporanei a caccia di souvenir, e i reperti lasciavano l’Iraq anche grazie a collaboratori Onu, giornalisti, voli umanitari. Ma non vennero predati solo i siti archeologici. In mezzo al caos della disfatta dell’esercito di Baghdad, nelle sacche di protesta violenta incoraggiate a distanza dalla coalizione occidentale, anche la stragrande maggioranza dei quattordici musei regionali subì saccheggi e furti.

Un decennio dopo, durante l’invasione dell’Iraq iniziata nel 2003, gli Stati Uniti inferirono un nuovo colpo. Innanzitutto con i bombardamenti ‘chirurgici’ che centrarono, oltre a obbiettivi militari, anche musei e biblioteche. Inoltre nelle città irachene non ci furono né pattugliamenti né protezioni alle principali sedi espositive e di attività culturale, nonostante le assicurazioni fatte precedenti al conflitto. Una volta lì, però, gli unici siti realmente presidiati dai militari furono i pozzi di petrolio. Del resto per i tombaroli l’occupazione militare – con i corollari della mancata protezione, del caos amministrativo e della linea di comando assente – rappresentò un vero regalo: dopo l’invasione ebbe luogo la stessa quantità di scavi clandestini che nei dieci anni precedenti. Alcune stime riportavano di un migliaio di reperti archeologici estratti ogni giorno, nel 2003. 5287-afp-essam-al-sudani

Babilonia fu vessata dalla presenza di una base militare, che si estese fin sulle rovine antiche. I danni furono significativi: danneggiamento e furto di mattoni; scavo di trincee; schiacciamento della pavimentazione originale; inquinamento del terreno. A Ur la zigurrat del sito fu sfregiata da soldati e aviatori americani con scritte e graffiti, a cui si accompagnarono furti di mattoni antichi. Uruk, anche se maggiormente protetta dalla tribù beduina, fu scavata, così come una serie vastissima di siti in tutto l’Iraq. Baghdad vide colpite la sua biblioteca nazionale, l’archivio di stato, l’accademia delle scienze, e subì il famoso sacco del Museo nazionale. Anche in questo caso si ebbe la colpevole disattenzione – rectius, la probabile connivenza – da parte degli occupanti. Lo spettacolo fu impressionante: vetrine espositive aperte con taglierini dalla punta di diamante e depredate; statue rovesciate e spaccate; magazzini di reperti archeologici sistematicamente messi a soqquadro; uffici e archivi sottoposti a vandalismo selvaggio; personale del museo in lacrime mentre sullo sfondo si aggiravano ancora individui armati di asce. Ora con l’Isis, quelle asce sono tornate.

Simone Pellico

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2 comments

Anonimo 22 Gennaio 2016 - 12:09

Obbiettivo far scomparire le prove della cultura antecedente e alle nuova religione universale ed al nwo ….i giovani saranno ammaestrati con una nuova pseudo cultura che gli farà pensare di essere moderni e liberi ?
Ed i cristiani sono stati in passato e saranno di nuovo futuri perseguitati abbandonati dal nuovo papa universal religion , come fù per Costantinopoli ed i cristiani d oriente
ovvero Schiavo della libertà
Usa un paese dove ormai le chiese sataniche sono di casa e non fanno più scalpore , mentre in Russia la fede sembra risorgere , per la prima volta invece di vedere la messa di bergoglio ho visto quella del Patriarca Russo e mi sono sentito più cristiano
Ratzinger è ancora vivo ?
Papa Pacelli un grande che stranamente duro poco

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Anonimo 22 Gennaio 2016 - 2:07

Interessante fatevi aiutare da chi sa bene l inglese
https://m.youtube.com/watch?v=XSYOyNvCFPQ

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