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Attentato Pakistan: se ancora qualcuno confonde l’Islam con l’Isis

by Michael Mocci
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islam attentato pakistanRoma, 18 febbraio – L’altro ieri l’Isis ha colpito con un attentato che ha provocato almeno 70 morti il santuario Lal Shahbaz Qalandar nella città di Sehwan a circa 200 chilometri da Karachi. Nel santuario, che prende il nome da un santo sufi sepolto nelle vicinanze, si stava svolgendo una cerimonia esoterica collettiva (Dhikr), quando un attentatore si è fatto saltare in aria.

Un osservatore distratto, abituato agli stereotipi fallaciani dello scontro di civiltà, potrebbe rimanere colpito da “un musulmano che uccide altri musulmani”. Certo, basterebbe volgere lo sguardo in Medio Oriente per vedere che chi combatte realmente il terrorismo sono i soldati siriani, libanesi e iraniani, ma stupisce innanzitutto l’avversione dei terroristi nei confronti del sufismo, che non è, come alcuni sostengono, un “movimento” o una “branca” dell’Islam, ma è un tutt’uno con la religione del Profeta. Ciò che l’esicasmo è per l’ortodossia, lo zen per il buddismo, lo è il sufismo per l’Islam: il piano o grado esoterico della religione. Ed è proprio per questo che è tanto inviso all’Isis. La natura “occidentale” del terrorismo si esplica non solo attraverso le armi tecnologiche e i vistosi suv, ma soprattutto tramite la prospettiva “letterale”, la lettura piatta del Corano. La stessa che ha portato l’Isis a far saltare in aria sepolcri dei compagni del Profeta o l’Arabia Saudita a costruire un centro commerciale gigantesco a Mecca. Non dimentichiamo infatti, che il leader dell’Isis, al-Baghdadi, sarebbe laureato in teologia. Argomento che per alcuni indica l’equivalenza tra ortodossia islamica e terrorismo, ma che più realisticamente indica la natura accademica e pedestre delle sue interpretazioni.

A proposito di un maestro sufi, che veniva attaccato proprio dai “letteralisti”, Martin Lings riporta: “Lo Shaykh al ‘Alawî non fu indenne da attacchi e critiche che si attirò per il proprio universalismo e per la particolare capacità che aveva di verificare la sacralità di altre forme religiose, senza pertanto mai staccarsi dall’ortodossia islamica, nonostante appunti gli fossero mossi anche a questo riguardo dall’ottusità farisaica dei soliti “dottori della legge”. Così, un giorno, quando gli fu rimproverato che il suo tasbîh, il rosario, ricordava la forma di una croce, lo Shaykh si alzò in piedi e allargando le braccia all’altezza delle spalle esclamò: “E noi, a quale forma vi sembriamo assomigliare?”. Ibn Arabi, non a caso detestato dai terroristi dell’Isis, scrisse: “Il mio cuore è divenuto capace di accogliere ogni forma: è un pascolo per le gazzelle, un convento per i monaci cristiani, è un tempio per gli idoli, è la Ka’ba del pellegrino è le tavole della Torah, è il libro del Sacro Corano. Io seguo la Religione dell’amore, quale mai sia la strada che prende la sua carovana: questo è mio credo e mia fede”.

Il sufismo è lontano da ogni prospettiva politica. Come scrive Alberto Ventura in un recente libro, “il vero tawhid (la professione dell’unità divina) non può dunque consistere in una semplice adesione passiva a un dogma teorico, ma implica necessariamente un processo attivo di trasformazione interiore, che permetta di verificare […] l’unità divina”. La prospettiva del sufi è dunque quella della metafisica pura, il fine è l’estinzione in Dio. Non stupisce che sia avversata in un’era di materialismo imperante, in cui Magdi Allam può tranquillamente dire che l’Islam ha il progetto di invaderci e conquistarci, oppure sia lodata solo nelle sue forme esteriori, come la danza, da qualche radical chic cui piace parlare durante un aperitivo “del diverso e dell’altro da sé”.

Michael Mocci

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Stefano 18 Febbraio 2017 - 7:22

Pur capendo e condividendo in parte l’articolo, da persona che ha lavorato e lavora in paesi di fede Musulmana, ritengo che, vuoi per ignoranza delle masse, vuoi per cattivi Imam sponsorizzati da stati integralisti, la maggior parte di loro sia in fondo al cuore d’accordo con i terroristi e sperino in un islamizzazione planetaria. Quindi in questo senso penso che in qualche modo sia la Fallaci che Magdi Allam abbiano una parte di ragione. È poi vero che i terroristi vengono attivamente combattuti altri Musulmani, ma e’ anche vero che bisogna giudicare anche questo nell’ottica di una forte rivalità tra due dottrine diverse che si sono combattute dalla famosa scissione avvenuta molti secoli fa. Non so se una volta che abbiano vinto gli iraniani e soprattutto gli Hezbollah siano disposti a rispettare noi cristiani e occidentali, in termini di non prevaricazione o di rispetto delle nostre tradizioni. In poche parole non farei l’errore di considerare il nemico del nostro nemico un amico…

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giorgiio 11 Aprile 2017 - 12:46

Sia la Fallaci che Magdi hanno perfettamente ragione a considerarlo uno scontro di civiltà. Ammesso che l’autore abbia letto, e compreso, il corano non potrà certo giudicarlo un libro che proponga fratellanza con ebrei e cristiani, che definisce i popoli che sbagliano e che vanno combattuti. In esso viengono espressamente indicate le modalità con le quali debbono essere convertiti o annientati. Il silenzio della massa dei musulmani quando vengono fatti esplodere cristiani è piuttosto significativo e proprio in Pakistan in ognuna di queste tragiche occasioni si festeggia pubblicamente.

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