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Tradizione e rivoluzione: il 2 febbraio 1941 il sacrificio di Berto Ricci

by La Redazione
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Roma, 2 feb – Berto Ricci, intellettuale e politico, è poeta e combattente. Fonda e dirige l’Universale e collabora con numerosi giornali e riviste durante gli anni Venti e Trenta, tra cui il Selvaggio, il Popolo d’Italia e Critica fascista. Nasce a Firenze il 21 maggio del 1905. Nella sua gioventù è antifascista e anarchico, di un’anarchia che s’ispira al primato della politica, intesa come impresa di avanguardie di uomini geniali e volitivi, ai quali spetta il compito di guidare le masse verso una rivoluzione contro la società borghese, per sostituirla con una civiltà edificata sui valori dello spirito. Un anarchismo impregnato di un amore profondo per la tradizione italiana, i cui massimi esponenti vengono da lui identificati in Dante, Petrarca, Machiavelli, Mazzini, Carducci, Oriani, e dalla certezza (tutta mazziniana) di una missione dell’Italia nel mondo.

Mistica dell’impero

Non si tratta però di nazionalismo, che rifiuta fermamente, ma di una visione monistica della realtà in cui, come afferma Paolo Buchignani nel suo Un fascismo impossibile (1994), «le Nazioni si configurano come l’emblema della pluralità e della diversità, da superare nell’unità e nella sintesi costituite dall’Impero». Traspare, in questa sua concezione, tutta l’ammirazione che ha per il Dante della Monarchia, mentre il suo antimaterialismo assume i caratteri di uno spiritualismo che risente del neoplatonismo di Giordano Bruno, in cui l’Uomo, attraverso l’intelletto, è in grado di affrancarsi dalla schiavitù delle passioni e di elevarsi oltre la realtà sensibile per poter percepire l’“Unità del Tutto”.

È l’idea di sintesi che affascina Berto Ricci e che gli fa ricercare l’equilibrio e la fusione tra arte, cultura, scienza e politica; tra modernità e tradizione; tra beni materiali e valori spirituali; rifuggendo da ogni passatismo e da ogni futurismo perché la politica come l’arte deve rappresentare la «continuità dello spirito» fatta di tradizione e di rivoluzione. Berto intende il fascismo come rivoluzione antiliberale innestata nella tradizione. «Tutto quel che è antico», afferma, «in Italia è giovanissimo: e non capir questo significa scambiare bestialmente l’antico col vecchio». Per lui, infatti, il fascista non è un «nostalgico ruminante ma un costruttore d’avvenire».

La rivolta anti-borghese

Tradizione, quindi, ma anche rivoluzione, che, nutrendosi di un sovversivismo antiborghese avente il suo corrispettivo artistico nell’espressionismo, deve abbattere la società liberale. Berto Ricci vuole che il fascismo dia una svolta alla sua azione e faccia piazza pulita della vecchia Italia liberale, che viene spesso ridicolizzata nei suoi scritti narrativi. Il fascismo di Ricci si qualifica opponendo il popolo alla borghesia, vile, corrotta e corruttrice, in modo da sradicarla dalla società e dalle coscienze, compiendo così una rivoluzione sociale che porti alla subordinazione degli interessi privati e particolari a quelli dello Stato e del popolo.

Berto Ricci parte volontario, come camicia nera, per la guerra d’Etiopia, come pure si arruola volontario nella Seconda guerra mondiale per combattere le plutocrazie occidentali. Muore il 2 febbraio del 1941 nei pressi di Bir Gandula nel sud bengasino, durante un attacco aereo inglese. Il sogno di Berto Ricci, di una rivoluzione antiliberale e socializzatrice, spiritualista e antimaterialista, universale e tradizionale, rimane però attuale anche oggi che il capitalismo domina il pianeta, e che in Italia i “nipotini” pentiti dello stalinismo e del fascismo borghese si iscrivono entusiasti al partito unico liberale.

Eriprando della Torre di Valsassina

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Tradizione e rivoluzione: il 2 febbraio 1941 il sacrificio di Berto Ricci | NUTesla | The Informant 2 Febbraio 2019 - 2:05

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