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L’impero del Dragone: la Cina studia da prima potenza mondiale

by La Redazione
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Roma, 2 feb – È difficile negare che la Cina stia oramai riorientando la sua politica estera in direzione espansionistica ed offensiva sul piano economico in funzione anti-americana. Dopo aver conquistato il Tibet, Macao, Hong Kong e dopo essere riuscita ad isolare diplomaticamente Taiwan, la sua priorità principale adesso è quella di conseguire l’egemonia sul continente asiatico. Quindi, secondo la sua cosiddetta dottrina “a nove linee”, la Cina sostiene il diritto ad implementare la propria sovranità del Mar Cinese Meridionale dall’80% al 90% e a intraprendere  il dragaggio e il rinterro per creare isole artificiali sulle quali ha iniziato la costruzione di porti, piste d’atterraggio e infrastrutture militari. Per sostenere la sua acquisizione territoriale, la Cina ha bisogno del consenso dei Paesi africani presso le Nazioni Unite che rappresentano un terzo dei suoi potenziali alleati. Otto Paesi – tutti africani – stanno già sostenendo apertamente la sua postura offensiva: Niger, Mauritania, Gambia, Kenya, Togo, Burundi e Lesotho.

Una strategia ad ampio raggio

Ma gli obiettivi espansionistici della Cina non sono limitati all’Asia. L’attuale forza del continente cinese  si basa anche sulla continuità e sulla stabilità del suo sistema politico, che le consente di sviluppare una visione strategica proiettiva a lunghissimo termine, che i regimi politici occidentali non sono più in grado di mantenere con il continuo cambiamento dei loro esecutivi. Nel XIX Congresso del Partito Comunista nel 2017, Xi Jinping ha determinato fino al 2050 le varie fasi delle trasformazioni da compiere al fine di elevare la Cina al “primo rango del mondo in termini di potere globale e influenza internazionale”.

Il progetto “New Silk Roads” o “One Belt One Road” lanciato nel 2013 è un importante simbolo delle sue ambizioni internazionali. Prevede infatti lo sviluppo di due importanti rotte commerciali, una terrestre e una ferroviaria che attraversa l’Asia e l’Europa, l’altra marittima attraverso i porti dell’Asia meridionale, il Medio Oriente, l’Africa e Europa. Progettato come un tentativo di ricreare le rotte commerciali storiche che collegano la Cina al mondo, questo progetto faraonico che si basa su infrastrutture  autostradali e ferroviarie non ha altra ambizione che quella di ridisegnare l’ordine internazionale del XXI secolo. Si prevede che un piano di investimenti di quasi un trilione di dollari dovrebbe consentire alla fine di poter coprire quasi il 60% della popolazione mondiale e fino al 40% del Pil globale. La Cina sta usando l’iniziativa OBOR come un’opportunità per posizionarsi diplomaticamente sulla scena mondiale. Ciò è emerso chiaramente al Vertice della Nuova Via della Seta del 2017, al quale hanno partecipato oltre 50 Paesi, nonché rappresentanti delle Nazioni Unite, del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale. La Cina ha già siglato oltre 270 patti di cooperazione con i paesi partner lungo il percorso.

Lo scacchiere africano

L’Africa, che è considerata il futuro della crescita globale, rimane il protagonista preferito della diplomazia e dell’economia cinese, riflettendo il suo canale di cooperazione privilegiato, il Forum sulla cooperazione Cina-Africa (FOCAC). Questo è anche dimostrato dalla tradizione diplomatica cinese che i suoi ministri degli Esteri scelgono l’Africa come meta delle loro prime visite all’estero.

Le nuove strade della seta, troppo spesso considerate erroneamente come un’iniziativa della rete infrastrutturale eurasiatica, sarebbero in grado di dare un notevole impulso al progetto China/Africa, realtà già inevitabile dato che la Cina è già il primo investitore straniero sul continente dal 2016. Per il momento, le mappe del progetto mostrano principalmente programmi di investimento sulla costa dell’Africa orientale, in particolare in Kenya, Gibuti ed Egitto. La Cina rimane fedele al suo modello di sviluppo, che è sopravvissuto in Africa dall’inizio del secolo. Si prende il controllo dello sfruttamento delle materie prime del Continente nero – soprattutto petrolio e minerali – in cambio di dotazioni infrastrutturali: strade, ferrovie, parchi industriali e infrastrutture energetiche. Ebbene, questo ambizioso progetto è possibile grazie alla Banca d’investimento asiatica per le infrastrutture (World Bank Chinese Alternative) creata nel 2015, che oramai fa a pieno titolo parte del progetto OBOR.

Giuseppe Gagliano

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