Roma, 12 mag – “Emmanuel Macron: un intellettuale in politica?”. Sembrava di sognare, alla redazione di Le Monde, quando illustrava la comparsa sulla scena del nuovo re filosofo. L’inquilino dell’Eliseo ha infatti diverse pretese intellettuali, su cui il suo ufficio stampa ha saputo giocare sapientemente. Nel suo passato figurano un diploma universitario conseguito alla corte del filosofo marxista Etienne Balibar e poi un passaggio da assistente di Paul Ricoeur. Peccato che Balibar di lui non si ricordi e che Myriam Revault d’Allonnes, membro del consiglio scientifico del Fonds Ricoeur, abbia precisato che, con il maestro dell’ermeneutica, Macron si è limitato fare da assistente editoriale per l’opera La Mémoire, l’histoire, l’oubli. Non è proprio millantato credito, diciamo che il ragazzo ha giocato un po’ con le parole (essere “assistente” di un prestigioso docente, in Italia come in Francia, significa insegnare, cosa che Macron non ha mai fatto). Tutta l’operazione sembra in realtà frutto di una ben studiata campagna mediatica: il giovane brillante e colto contro l’estrema destra ringhiosa e becera.
È comunque interessante chiedersi se il progetto di Macron per la Francia abbia delle vere e proprie radici filosofiche. La formazione culturale del neopresidente, da quel che emerge, ha due corni principali: Ricoeur e il personalismo. Stupisce il fatto che nessuno dei due filoni rifletta l’ipercapitalismo di cui Macron sembra essere figlio. Si tratta, infatti, di due tendenze schiettamente “umanistiche”. Ricoeur è, insieme a Gadamer, uno dei grandi maestri dell’ermeneutica novecentesca. È significativo che La Mémoire, l’histoire, l’oubli conceda ampio spazio alla memoria dell’Olocausto e alla necessità – lo ha raccontato Macron stesso – di “decostruire” gli argomenti di chi lo nega. Secondo Olivier Abel, l’influenza di Ricoeur su Macron si fa sentire su quattro punti: a) la capacità di pensare “nello stesso tempo” istanze apparentemente inconciliabili (che, in Macron, diventa un po’ una sorta di “ma anche” veltroniano); b) “l’antimachiavellismo” di Macron; c) una concezione liberale della laicità; d) una “etica della responsabilità” che porta a evitare le “promesse fallaci”. Ne emerge però un ritratto sin troppo bonario dell’ex ministro di Hollande, che non tiene conto del suo cinismo, del suo rifiuto del primato della politica, della sua incapacità di interrompere la catena dei “ma anche” con un decisionismo netto. Insomma, il riferimento a Ricoeur sembra più un’operazione di maquillage per creare l’immagine del politico “responsabile” che altro.
Anche il riferimento al personalismo di Emmanuel Mounier lascia perplessi. Questa corrente dei primi del’900 pretende di rappresentare una sorta di cattolicesimo di sinistra molto attento al valore della persona e ostile tanto al marxismo che al capitalismo. È Mounier il tramite con Ricoeur, e dal personalismo viene Olivier Mongin, direttore di Esprit, la rivista che ha ospitato due saggi di Macron e che fu fondata da Mounier stesso. Dal personalismo viene anche un altro dei suoi mentori (e già suo testimone di nozze), Henry Hermand, cattolico, ex membro della Resistenza, vicino a Solidarnosc e tra i fondatori del think tank Terra Nova, ma anche pioniere della grande distribuzione in Francia. Supermercati e anticapitalismo: c’è già tutto il macronismo. Dal mondo di Esprit vengono anche il suo ghostwriter, il 27enne Quentin Lafay, e Thierry Pech, un altro dei fondatori di Terra Nova. Insomma, l’influenza della “gauche Esprit” su Macron è evidente. Di nuovo, non si capisce come tutto ciò si concili con l’anticapitalismo di Mounier. Il quale, tuttavia, muore nel 1950. Dopodiché Esprit annacquerà molto le proprie posizioni, fino a un clamoroso endorsement, nel 1995, per la contestatissima riforma delle pensioni di Juppé. Questo cattolicesimo sociale e “umanista” è del resto tipico delle ansie buoniste dei vertici del potere globale.
Macron è il personaggio che, per riassumere la propria visione del mondo, cita Ricoeur e Levinas parlando di “fiducia nell’uomo”, ma è anche, notoriamente, figlio del capitalismo più forsennato: tra i suoi sostenitori c’è l’Institut Montaigne, think tank neo-liberale vicino alla Confindustria francese e il cui presidente è tra i vertici del Bilderberg (ai cui meeting Macron stesso ha partecipato). Nel corso di un’intervista disse: “Servono giovani francesi che abbiano voglia di diventare miliardari”. Diverse volte si è lasciato andare a veri e propri scatti di razzismo sociale, come quando ha definito “illetterati” gli operai dei mattatoi Gad o quando ha stigmatizzato l’alcolismo e il tabagismo degli abitanti di un bacino minerario. In questo cortocircuito tra interessi finanziari e buonismo d’accatto si inquadrano le bandiere dei “ribelli siriani” che sventolavano in piazza dopo la sua elezione. È tipico: Macron rappresenta quella politica che finge di commuoversi per la bufala dei “bambini siriani gasati da Assad” e con questa scusa destabilizza il mondo, spalancando le porte ai tagliagole. In questo quadro vanno lette anche le adesioni al macronismo di due loschi figuri del paesaggio culturale francese: Bernard Kouchner, fondatore di Medici senza frontiere, ex ministro di Sarkozy e sostenitore di ogni possibile “bombardamento terapeutico”, e Bernard-Henri Lévy, l’uomo delle rivoluzioni colorate, dell’esportazione della democrazia e delle “primavere” destabilizzatrici.
Adriano Scianca
(continua)