Roma, 25 ott – Non è un rione per italiani. Anzi, non è più un rione e basta. L’Esquilino è terra di nessuno, il pozzo senza fondo del degrado della capitale. Un non luogo ridotto ormai a vetrina per le inchieste giornalistiche, un archivio perenne dove trovare immagini forti che raccontino la fogna in cui si è trasformato un pezzo importante del centro di Roma. A poche settimane dall’ennesimo stupro avvenuto al parco del Colle Oppio e dalle ultime denunce sulla situazione ormai insostenibile della stazione Termini, ecco che un altro luogo simbolo dell’Esquilino, il parco di piazza Vittorio, diventa il teatro di un nuovo drammatico racconto del degrado: un cane morto di overdose dopo aver ingerito una bustina contenente sostanze stupefacenti nell’area cani. “Hanno ammazzato il mio Ziggy”, è l’accusa che Elia Cevoli, padrona del cane, rivolge in un’intervista al Primato Nazionale. “Lui era solo un cucciolo, molto probabilmente avrà addentato per gioco questa bustina che ha trovato nel fogliame del parco”. La scena che Elia si è trovata davanti è stata drammatica. “L’ho visto vomitare droga. E’ stato per ore in preda alle convulsioni. Ogni tentativo di salvarlo è stato inutile. Lì nel parco ci sono anche molte siringhe e la zona di fatto è ormai sotto il controllo dei pusher africani”.
Quella che doveva essere una tranquilla passeggiata con il proprio cane si è trasformata in tragedia, verrebbe da dire. Chi vive un minimo la realtà del rione sa bene che già solo recarsi al parco è un’impresa: c’è da aggirare il gruppo fisso dei pusher africani sulla sinistra, superare la baby gang di filippini sulla destra, attraversare il corridoio alcolico dell’est Europa e raggiungere infine l’aerea cani. Ogni attività normale all’Esquilino diventa un’impresa: portare i figli a scuola, andare a fare la spesa, parcheggiare, frequentare un parco pubblico. La vita di tutti i giorni può trasformarsi costantemente in una disavventura. Ci erano cascati, seguendo l’onda lunga della retorica veltroniana del “rione multietnico”, radical chic e personaggi famosi (soprattutto registi come Sorrentino, Garrone e Abel Ferrara) che negli ultimi anni si erano trasferiti all’Esquilino. Molti di loro hanno pensato di cambiare aria negli ultimi mesi, così come è notizia di questi giorni che un altro pezzo di storia del rione se ne è andato.
Il ristorante “Agata e Romeo” di via Carlo Alberto, stella Michelin e presente sulle guide di tutto il mondo, ha deciso di chiudere i battenti e vendere ai cinesi, mettendo così la parola fine a oltre 100 anni di storia di un’osteria romana. Lo racconta oggi Repubblica, che sottolinea sì la scelta di vendere ai cinesi, ma non dà il giusto risalto alle motivazioni che hanno portato i due proprietari a chiudere i battenti. “Questo ristorante era qui da un secolo, ma ormai di quella Roma non c’è più nulla. L’Esquilino è abbandonato, in degrado. Avevamo ottenuto l’autorizzazione per i tavolini esterni, ma li abbiamo tolti perché il dehors veniva vandalizzato e tra ubriachi e tossici i clienti non erano a loro agio. Abbiamo venduto ai cinesi perché qui un ristorante italiano sarebbe stato senza futuro”. Il problema, per chi ancora non se ne fosse accorto, è che gli sbandati e i tossici, lo spaccio e gli escrementi a ogni angolo di strada, la distruzione sistemica di ogni rimasuglio dell’identità romana del rione, non sono un attacco solo ai tavolini all’aperto e al futuro di un ristorante rinomato, ma alla vita di quegli ultimi italiani che ancora si ostinano a vivere in una delle zone più storiche e degradate di Roma. Dopo quasi vent’anni possiamo dirlo senza paura di essere accusati di xenofobia, razzismo annessi e connessi: l’immigrazione ha distrutto l’Esquilino e il progetto del rione multietnico è definitivamente fallito.
Davide Di Stefano