Ma dietro quello che fu certamente una lunga fase di studio e ricerca, quasi antiquaria, dei precisi gesti e canoni di un rituale caduto nell’oblio generale, da parte di Ottaviano – l’ultimo caso conosciuto si faceva risalire all’epoca della guerra contro Giugurta, quasi un secolo prima -, dobbiamo soprattutto intravvedere ciò che è stato il tratto caratteristico della sua complessiva ideologia culturale e religiosa, ossia il recupero del mos maiorum, la difesa degli istituti e dello spirito propri dell’età arcaica (anche etici, come dimostrerà la sua azione nell’ambito della morale famigliare) e il rifiuto di piegarsi all’avanzata dei culti stranieri. Tolleranza, senza confusione. Sotto tale profilo, vi sono due episodi che illustrano molto bene la concezione augustea. Immediatamente dopo la vittoria di Anzio, come noto, Ottaviano inseguì i resti dell’esercito in rotta di Cleopatra e Marco Antonio sino ad Alessandria d’Egitto, per cingerla d’assedio. Narra Svetonio come, una volta presa la città dopo il tragico suicido della regina e del suo amante, il duce romano “nel percorrere l’Egitto si astenne dal deviare un poco per visitare [il tempio di] Api, ma anche elogiò il nipote Caio perché attraversando la Giudea non aveva fatto supplicazioni in Gerusalemme” (Svet. Aug.,93); Dione Cassio aggiunge altri particolari sull’episodio, spiegando come la decisione di Ottaviano fosse dovuta al suo rifiuto di onorare divinità di aspetto zoomorfico (“essendo uso onorare Dèi, non bestiame”, Dio Cass. 51, 16), in linea con la rigorosa tradizione romana di rifiuto e avversione per l’adorazione o celebrazione delle stesse (monstra et latrator Anubis tramanda Virgilio, Aen. 8, 698). Siamo ben lontani, dunque, dalle odierne e recenti, grottesche pagliacciate che hanno visto centinaia di fedeli islamici, invadere chiese e luoghi di culto cattolici, in nome di una fasulla fratellanza universale del credo –fisima del tutto moderna, che prelude solo alla preconizzata espansione dell’islamismo moderato, assai più temibile dei gesti folli di qualche assassino, in nome, però, di una religione rigidamente e ossessivamente intollerante. Tutto ciò, si noti bene, Ottaviano fece senza perseguire alcuno per il proprio credo, né ordinando la distruzione di templi o altari, ma anzi, come ci informa ancora il tardo storico romano, “risparmiando la vita a tutti gli abitanti di Alessandria, in quanto fedeli di Serapide” (ibidem). Una volta poi tornato a Roma, nel 29 a.C., l’Augusto – così sarà ricordato, ossia come colui che ha in sé una potenza divina inestinguibile, dalla radice indoeuropea aug*- “fare un pieno di potenza divina”, per effetto dello straordinario auspico-augurio dato dalla visione di dodici avvoltoi, nel corso dell’assunzione del suo primo consolato, il 19 agosto dell’anno 43 a.C., come fu, prima di lui, solo per Romolo avanti la fondazione dell’Urbe eterna – non tarderà a prendere severi provvedimenti nei confronti del culto isiaco, che iniziava a prendere piede nell’Urbe, ordinando espressamente che fosse vietato ogni rito egizio (e di conseguenza la rimozione di ogni luogo di culto privato dedicato ad Iside) nella zona posta all’interno del pomerium, sacro confine del cultus deum romano, inaccessibile ad ogni liturgia non in linea con le radici spirituali e religiosi del credo italico-romano (ancora Dio Cass. 53, 2, 4). Ma, anche in questo caso a testimonianza della sua tolleranza, espressamente autorizzando gli adepti dei culti egizi a provvedervi a loro spese, e ove non fossero stati in grado di farvi fronte, assumendo su di sé i relativi oneri. Se vogliamo ricercare nel passato, per i presenti tempi, un esempio di retto modo di porsi di fronte alle altrui credenze, quello che ci offre Ottaviano sembra costituire un eccellente paradigma. Una netta separazione, senza che ciò comporti alcuna intolleranza.
Augusto, fu, dunque, sotto tale profilo, piuttosto un restauratore che un innovatore. Dopo gli anni terribili della guerra civile, in cui al’esperienza religiosa comunitaria, si era in parte sostituito il culto personalistico e individuale delle varie fazioni, cercò (con successo, come attesteranno i successivi eventi) di mostrare, anche con il suo personale e incessante impegno, che la strada romana per il divino era ancora quella maestra: riparò o eresse 82 templi, istituì nuove festività e onori agli Dèi Indigeti e alle potenze celesti nel rispetto e nel solco della tradizione avita, non mancò mai di celebrarne pubblicamente, per quanto possibile, le ricorrenze tutte. Sobrio e moderato di costumi e gusti, ma generoso e impareggiabile nell’offrire giochi e spettacoli per il popolo romano, semplice nell’eloquio seppur diretto e stringente, modesto nel vestire senza apparire trasandato, stratega nato e ottimo logistico (in ciò superiore persino ad un Cesare, che fu però ineguagliabile tattico e artista della battaglia), raffinato letterato e mecenate della arti tutte (compose numerose opere, mai giunte) senza per questo divenire effimero schiavo delle stesse, eccellente amministratore (riordinò in modo mirabile le province tutte, assicurando una presenza costante sui confini delle legioni e dando preminenza all’elemento italico piuttosto che a quello latino nella politica interna), ricoprì la carica di console romano per ben nove volte, fu dotato della tribunicia potestas (senza ricoprirne la carica, lui aristocratico) ed ebbe il potere proconsolare accompagnato dalle insegne dell’imperium consolare domi, la censoria potesta; augure e pontefice (maximus, dall’anno 12 a.C.), quindecimvir sacris faciundis e septemvir epulonis, venne cooptato nei sodalizi sacerdotali dei Feziali, dei Fratelli Arvali e dei Sodales Titii, mostrando con il suo esempio e coinvolgimento diretto che Roma onorava inflessibilmente i suoi Dèi.
Tutto ciò e molto altro fu l’Augusto Gaio Cesare Ottaviano, figlio di Gaio Ottavio, adottato poi da Gaio Giulio Cesare. Nessuno, in seguito, fu più grande di lui: eppure quanti uomini di eccezionale tempra e forza d’animo, quanti indomiti condottieri, quanti sagaci e abili uomini di stato e lettere, espresse la civiltà dell’impero romano. Rammentiamo il genio e il nume di Gaio Cesare Ottaviano, libando in suo onore i calici nella giorno delle Feriae Augusti , del Ferragosto: con la consapevolezza che noi tutti, ne siamo, per razza e fato, gli eredi.
Stefano Bianchi
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…complimenti questa dovrebbe essere materia di studio dalla 5° elementare fino alle superiori! Saprebbero così i nostri giovani a quale schiatta appartengono.