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Champions League: l’Inter è generosa, il City spietato. La coppa dalle grandi orecchie va a Manchester

by La Redazione
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Inter

A riveder le stelle. Esattamente un lustro fa – era il 15 giugno 2018 – l’Inter pubblicava sulla propria pagina Youtube un brevissimo video di presentazione della campagna abbonamenti. La citazione dantesca (così il padre della nostra lingua chiude l’Inferno) accompagnava il ritorno nerazzurro nel trofeo più ambito del globo dopo sei anni di assenza ingiustificata. Poche righe – “un cammino tortuoso ci ha riportato qui” – che allo stesso tempo sintetizzava il passato recente e anticipava l’immediato futuro. Avvenire fatto di alterne fortune continentali e continue affermazioni nazionali, di uno scudetto vinto con largo anticipo e una seconda stella persa d’un soffio per gravi demeriti propri. Arriva da lontano questa finale di Champions, nella quale il Biscione si è potuto solo orgogliosamente avvicinare ai corpi celesti del Manchester City. La coppa dalle grandi orecchie infatti è finita in Inghilterra.

Una sfida inedita tra Inter e City

Primo confronto ufficiale tra nerazzurri e blue moon, Beneamata “all’esordio” in una finale contro squadre inglesi. Anzi, nessun componente della rosa meneghina – Simone Inzaghi compreso – era mai arrivato prima d’ora all’ultimo atto della fu Coppa dei Campioni. Due mondi diversi, anche a livello simbolico: il veliero posto al centro dello stemma albionico (d’altronde l’impero britannico si impose come potenza marittima) contro il Biscione d’Italia, simbolo di terrestre fertilità. I Citizens di coppa sono un rullo compressore: segnano mediamente più di due gol (e mezzo) a partita, si presentano con il capocannoniere del torneo, vantano il 60% del possesso palla e una precisione nel passaggio pari al 90%. Hanno fatto fuori il Siviglia – ai gironi – e successivamente qualcosa come Bayern Monaco e Real Madrid, venti coppe in due. Ma – fortunatamente – il calcio non è solo fredda statistica. Ci sono anche cuore e muscoli, polmoni e tempra, fame e, soprattutto, cervello. Sì, proprio quello che l’Inter ha saputo usare al meglio lontano dal lungo logorio del campionato, nelle gare dove ogni novanta minuti possono valere davvero l’intera stagione.

Un primo tempo bloccato

Di fronte a una squadra costruita con il dichiarato intento di vincere tutto, Inzaghi si affida all’oliato 5-3-2 di coppa. Quinti bassi e l’italianissimo trio centrale (Darmian, Acerbi, Bastoni) alle prese con Haaland. Brozovic vince il ballottaggio sul recuperato Mkhitaryan, “costringendo” Calhanoglu nel ruolo di mezzala. Panchina per Lukaku: con Lautaro fa coppia Dzeko. Tra i tanti campioni dell’undici mancuniano attenzione alla peculiarità di Stones. Il nazionale inglese – sulla carta difensore centrale – è infatti il vero regista di Guardiola. Pronti via e il City prova a pungere subito con il mancino di Bernardo Silva. Prima frazione gagliarda dei nerazzurri, bravi a concedere il minimo sindacale sulle fasce e tagliare ogni rifornimento allo spauracchio Haaland. Barella e soci però non sfruttano al meglio le iniziali insicurezze di Ederson, portiere degli inglesi. Squillo celeste al 26′: è lo stesso centravanti norvegese a scaldare i guantoni del provvidenziale Onana. Dieci minuti più tardi Guardiola perde De Bruyne, dentro Foden.

Manchester City-Inter 1-0: decide Rodri

Secondo tempo. Si riparte con la Curva Nord che a livello sonoro continua a sovrastare i dirimpettai d’oltremanica e l’Inter in attesa di un errore avversario. Lo svarione arriva puntuale  verso l’ora di gioco, con Lautaro che si fionda su un retropassaggio peccando però d’egoismo. Ma proprio quando il ritmo albionico sembra calare Rodri rompe ogni equilibrio con il suo destro chirurgico. Al 68′ è 1-0. Un minuto e l’Inter ha subito l’occasione per impattare: Dimarcodi testa centra la traversa e sulla ribattuta “sbatte” sul tacco di Lukaku. Poi Foden si accende divorandosi il raddoppio e – a due dal termine – il centravanti belga trova, proprio sulla linea, il piede di Ederson. Il brasiliano salva anche all’ultimo secondo: il City vince la sua prima Champions League. Grande delusione per una generosa Inter, serviva la gara perfetta e – come da copione – non è bastata una grande prestazione. Tre finali, altrettante sconfitte. Il calcio italiano esce a testa alta ma amaramente senza trofei. La stagione che segna il ritorno sui palcoscenici più importanti d’Europa non può che diventare – dopo la Conference della Roma di un anno fa – la seconda tappa della nostra ripartenza. Perdere è umano, perseverare ora diventa un obbligo.

Marco Battistini

 

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