Roma, 15 dic – La monogamia non sembra essere stata un grande affare per il maschio dell’homo sapiens. Tra i tanti interessanti vantaggi andati perduti con l’abbandono della poligamia, ce n’è uno che riguarda da vicino la nostra virilità. Secondo lo studio pubblicato su Proceedings of the Royal Society B da Matilda Brindle e Christopher Opie, dell’University College di Londra, infatti, l’uomo, 100 milioni di anni fa, aveva un osso nel pene. Non è una novità, in natura. Anzi. I maschi umani sono gli unici primati a non possedere un osso penico insieme alle scimmie ragno. Tra gli altri mammiferi che non ce l’hanno ci sono anche le balene, i cavalli, i rinoceronti, i conigli, gli elefanti e i marsupiali. Per il resto il baculum (“bastone”, in latino: così è chiamato l’osso del pene) è molto diffuso nel regno animale.
Ebbene, gli antropologi britannici hanno ricostruito la storia evolutiva di quest’osso, scoprendo che iniziò a evolversi tra i 145 e i 95 milioni di anni fa. Era quindi sicuramente presente nel più recente comune antenato di primati e mammiferi carnivori. Si pensa che il baculum abbia la funzione di allungare i tempi dell’erezione ma anche quella di velocizzare l’amplesso. Il professor Opie è dell’idea che gli esseri umani abbiano perso l’osso con l’emergere della monogamia durante il periodo dell’Homo erectus circa 1,9 milioni di anni fa. Nei primati, la presenza del baculum è legata alla maggiore durata dei rapporti, essenziale per garantire alte possibilità di generare prole nelle specie poligame, in cui molti maschi si accoppiano con molte femmine. Il fatto di poter rimanere a lungo – supportati indipendentemente dall’erezione – nel corpo della partner sottrae tempo ai rivali e aumenta le chance di assicurarsi una discendenza. La poligamia e la presenza di accoppiamenti stagionali, infatti, sono fattori predittivi della lunghezza dell’osso penico nei primati.
Giuliano Lebelli