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Ci sono migrazioni e migrazioni. I dovuti distinguo con quella italiana degli anni ’50 e ‘60

by La Redazione
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Milano, 9 set – I fautori delle porte aperte all’immigrazione incontrollata dal terzo mondo, i buonisti attualmente nelle stanze del potere che ci auguriamo saranno processati per alto tradimento dal primo governo realmente eletto dal popolo, accostano strumentalmente la nostra immigrazione degli anni Cinquanta-Sessanta all’invasione attuale.

Una clamorosa mistificazione per giustificare l’attentato all’integrità nazionale che piddini, rifondaroli ed ex cattocomunisti propagandano attraverso la stampa di regime. I nostri emigranti andavano in Germania, Francia, Belgio e Svizzera per lavorare sodo e duramente.

Nel 1955, l’anno in cui fu stipulato un patto bilaterale fra Italia e Germania per consentire l’emigrazione (legale) dei nostri connazionali, partirono 80mila uomini all’anno, in prevalenza dalle regioni del Sud Italia.

Ammassati in baracche di legno, in dieci per stanza, senza garanzie del posto di lavoro, sottopagati rispetto agli autoctoni e senza assistenza sanitaria, lavoravano dieci-dodici ore al giorno per mandare un tozzo di pane alle proprie famiglie. A Wolfsburg, in Bassa Sassonia, dove sorgeva lo stabilimento della Volkswagen, i nostri lavoratori erano alloggiati in campi di fortuna nelle vicinanze della fabbrica, al freddo, e sorvegliati a vista con guardiani con i cani.

La nostra immigrazione in Europa era temporanea non definitiva come i nullafacenti attuali, i nostri connazionali lavoravano otto-dieci mesi all’anno per poi rientrare nelle proprie case e ritornare al lavoro l’anno successivo.

Tra il 1955 e il 1970 partirono un milione e mezzo di italiani. Le loro condizioni di vita non erano delle più rosee. I buonisti di oggi, quelli che vogliono l’intera Africa in Italia, non riferiscono le ingiurie riservate ai lavoratori italiani all’estero, raccolte nel bel libro di Gian Antonio Stella “L’orda, quando gli albanesi eravamo noi”. L’insulto più leggero era “spaghetti-dresser”, mangiatori di spaghetti, o “accoltellatori”, o “carcamano”, gente che ruba sul peso.

I nostri emigrati non erano accolti a braccia aperte, non dormivano e mangiavano gratis come i clandestini di oggi, in alberghi o centri di accoglienza, non ricevevano la paghetta per non fare nulla come gli scansafatiche clandestini che protestano perché il vitto non è di loro gradimento. Centrotrentanove italiani morirono in miniera a Marcinelle in Belgio dove lavoravano giorno e notte per sfamare le proprie famiglie.

I nostri emigranti non andavano all’estero clandestinamente. Avevano passaporti, carte di identità e soprattutto il consenso degli Stati e degli imprenditori che davano loro lavoro.

Paragonare parte della nostra storia di emigranti, con la folle, incontrollata e inaudita invasione dei clandestini di oggi è solo un insulto alle vite di quei patrioti che con il loro duro lavoro hanno contribuito a creare l’Italia che oggi infami traditori della patria vogliono distruggere attraverso la sostituzione etnica, l’islamizzazione progressiva del Paese, inclusi terroristi e criminali, la feccia di cui il nord Africa si è liberata grazie al servizio taxi di Ong e guardia costiera.

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1 commento

nemesi 9 Settembre 2017 - 2:16

assolutamente da aggiungere un dato demografico fondamentale; l’Australia -a titolo di esempio- conta una popolazione di 24 milioni di abitanti (cioè inferiore a quella della sola Italia settentrionale,pari a quasi 28 milioni di abitanti) su una area di oltre sette MILIONI di Km2 (italia settentrionale…appena 120.000 km2 contando anche montagne e ghiacciai..) per non parlare di quando è iniziata intorno al 1860 l’emigrazione italiana verso gli USA…al tempo gli Stati Uniti contavano circa TRENTA milioni di persone…ancora una volta un numero assai vicino a quello attuale della sola Italia Settentrionale.

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