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Conflitto politico e dinamica comunitaria

by Adriano Scianca
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the-course-of-empire-destruction-thomas-cole-1836Roma, 11 nov. – Il puntuale intervento di Giovanni Damiano, Ius Soli: ingegneria sociale per una società di estranei fornisce l’occasione di inquadrare una questione a cui il mondo politico dissidente tende a dedicare poca attenzione. L’autore è convinto che «non possa reggere l’idea di una comunità compattamente armonica, immune da ogni conflittualità perché basata sull’organico equilibrio delle parti che la compongono».

Partendo da questo assunto è utile focalizzare, pure molto sommariamente, l’attenzione su un tema che riguarda in profondità la politica e la sua pratica quotidiana.

Le forme di comunità armonicamente ordinate e pacificate di cui narrano i miti risultano all’atto pratico delle forme idealistiche o dei modelli a cui raramente l’uomo politico ha potuto dare piena concretezza. Questo perché la politica si configura come un reticolo di forze in competizione, una dinamica animata da gruppi e non da semplici individui. Prendere coscienza di questo significa entrare nel “politico” dalla giusta prospettiva, senza false speranze ma anche con la concretezza di chi comprende i margini reali di azione contingente. Per dirla con Machiavelli, bisogna cercare di aderire alla verità effettuale della cosa.

Al fine di chiarire ulteriormente i termini del discorso è utile risalire all’origine stessa della politica intesa come “cosa di tutti”. Osservando la vita della propria polis Eraclito mise per iscritto la sua visione delle cose, che in un linguaggio talvolta oscuro e allusivo cela una profonda dimensione politica. La celebre massima «Il conflitto è padre di tutte le cose, di tutte re, e gli uni li ha mostrati dèi, gli altri uomini, gli uni ha fatto schiavi, gli altri liberi»(1) erge il conflitto a massimo ordinatore del mondo degli uomini.

I contendenti si scontrano e incontrano in un moto oppositivo che genera equilibrio. Un equilibrio fondato sul confronto e sulla guerra e che da tale andamento trae la forza di reggersi e rinnovarsi.

Se polis e polemos condividono la stessa radice, non deve stupire che un fondamentale tassello nella comprensione della realtà del “politico” passi necessariamente per l’opera storiografica di Tucidide. Calato, come il filosofo di Efeso, nella vita politica della sua comunità (Atene), egli ne studiò i conflitti che animarono la guerra del Peloponneso (404 a.C.) non soltanto considerando i mutevoli rapporti di forza tra due potenze egemoni (Sparta e Atene) ma anche e soprattutto le dinamiche interne alla polis stessa e alle molte fazioni politiche che si confrontavano in modo più o meno aperto(2).

È qui che si può rinvenire nella storia europea il configurarsi della fondamentale categoria di amico – nemico(3), su cui si reggono ogni agonismo e ogni antagonismo tra corpi politici attivi.

La complessità della vita comunitaria venne approfondita da Niccolò Machiavelli, che specie nella sua opera Discorsi sopra la prima deca dmacchiavellii Tito Livio studia la storia romana allo scopo di trarne insegnamenti per il presente (XVI sec.). In questo libro grandioso e problematico il segretario fiorentino mette in evidenza le linee di opposizione e contrasto che animano la vita politica antica e rinascimentale. L’autore ragiona degli «omori concitati contro a’ principi», le opposte ambizioni che animano il confronto tra nobili e popolari ma anche le molte sfaccettature all’interno di ciascuna corrente. Ed è precisamente a queste molte linee di possibile rottura che il Principe machiavelliano deve guardare con attenzione e cura, se vuole garantirsi un governo solido e duraturo.
Come si può ben capire da queste brevi note, il mondo europeo classico comprendeva la guerra a fondamento e nel cuore stesso della civiltà e della politica, come sua componente normale e irrinunciabile. Una componente decisiva e sempre presente nell’equilibrio dinamico di forze. Questo punto di vista muta radicalmente con il sorgere del razionalismo illuminista e poi col contrattualismo, che trova nell’opera di Thomas Hobbes un pilastro fondamentale. Il filosofo inglese colloca infatti il lato ferino dell’uomo e la guerra stessa in una dimensione di inferiorità e arretratezza pre-civile, che termina solo «mediante patti reciproci di ciascuno con ogni altro»(4) con cui consegnano nelle mani del sovrano il ruolo di garantire le libertà individuali e la sicurezza.

Su una linea differente e coerente con quella tracciata da Niccolò Machiavelli si collocano invece Adam Ferguson, Glumpowicz e Sombart, i quali conservano la forza vitale del conflitto nella vita politica comunitaria.

Francesco Boco

note

1 – Eraclito il Superbo di Efeso, Edizioni di Ar, Padova, 2011, p. 139.
2 – Cfr. P.P. Portinario, Il realismo politico, Laterza, Roma-Bari, 1999: «Da Erodoto a Tucidide a Polibio l’interesse della storiografia viene progressivamente spostandosi dalla narrazione delle cause soggettive alla ricerca delle cause strutturali dei conflitti» (p. 31) e L. Canfora, La guerra civile atenise, Bur, Milano, 2014.
3 – C. Schmitt, Le categorie del “politico”, Il Mulino, Bologna, 1998.

4 – T. Hobbes, Leviatano, Laterza, Roma-Bari, 2005, p. 143.

 

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