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Contro il Vannaccismo estremo, evviva gli uomini indecenti

by La Redazione
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Vannaccismo antropologia

Roma, 16 sett –  L’Italia d’oggi appare come un clitoride incandescente, tra Vannaccismo, varie ed eventuali. Viene appena sfiorata da un proclama di rabbiosa richiesta di giustizia sociale e subito si eccita colando soldati strillanti da mandare al fronte senza addestramento e fanti disarmati che partono all’ordine secco dalla trincea. Poco importa se il comando impartito sia sicuramente suicida o venga dato da un inadeguato e improvvisato capitano. Alla baionetta, figli di Toto Cutugno!

Vannaccismo e caos

Risse, baruffe e zuffe, annebbiamenti, denti digrignati, tasti battuti con rancore. Anni di studi mandati a puttane. E s’intravede la fine della nobiltà nell’agire, che, come ci ricorda Verga in “Libertà”, assieme alla lucidità, da mantenere ancor più nella ribellione, è mezzo per la riuscita e la crescita. Ciò che preoccupa il logorroico scrivente – e molti altri, forse saggiamente, silenti – è vedere l’uomo di destra ridotto in queste condizioni, tali da poter affermare che vada stroncato e ripiantato, come si bonifica un giardino dall’ortica, affinché una nuova coltivazione possa far crescere almeno un fiore. Prendiamo il vannaccismo e prendiamolo da destra. È indubbio che molte delle tesi proposte dal Generale siano parte di un’agenda ideale che popola i sogni conservatori, più che altro. Qualcuno, frettolosamente, direbbe che si trattano di “temi di buon senso” e in parte è vero, perché utili, quantomeno, a testimoniare che c’è vita oltre l’isterico ingozzamento ideologico del progressismo e dei suoi fratelli.

Il rumore

L’Italia intera parla da giorni di un libro autopubblicato che non offre visioni che strutturano il tempo, offrendo una trama complessa da edificare vivendo per le successive generazioni, ma si limita a fare una cronaca di opinione puntata fortemente sulla contrapposizione e che lamenta “questioni note” a tutti, care, in realtà, solo a una parte del Paese, di cui, per altro, esistono contributi molto più importanti e utili. E chi non tollera questo insulto al processo di maturazione culturale di una società, viene ricoperto d’insulti, sminuito, emarginato, come in un grande asilo nido. Pare esserci poco ossigeno. Non è il libro di per sé – le cui meccaniche di uscita e di acquisto complessivo devono sicuramente far riflettere e non essere sottovalutate – è il contesto di azzannamento sociale alla cieca, di trangugiamento di nozioni quasi mai approfondite che non portano a ragionare sopra le cose. In tutto ciò, in questo vomitevole voyeurismo sociale, in questo perenne stato di agitazione emotiva permanente, ci mancava un nuovo martire a benedire folle.

Ma sì può oggettivamente essere felici di un disastro antropologico simile?

Il populismo come stato febbricitante del momento, la disabitudine alla complessità, la gratificazione istantanea a cui consegnarsi a piene mani, il voto liquido regalato a chiunque sia in grado di soddisfare le necessità di sopravvivenza, l’emozione che supera la ragione in un costante stato di agitazione emotiva permanente, l’opinione autoritaria anziché l’idea autorevole costruita su una coltivazione e sull’applicazione di un pensiero critico, l’infantilismo sociale del rifiuto, la massa alla carica delle istituzioni e al centro del sistema sociale, dei media, della bava di giornalisti e politici. E poi gli strilli, i continui duelli, l’esistenza in contrapposizione anziché nell’affermazione, l’abbassamento e il declassamento del talento, del merito, dell’intelletto generale, la bulimia di informazione come isterico atto sacro, gli intellettuali e i pensatori ridotti ai margini della società e dell’interesse, così come l’arte e la pratica della Bellezza. Figli che si ribellano ai padri senza un criterio. Un’unica grande e pericolosa lagna vorrebbe che un libro, due grida, quattro tweet, cinque video autoprodotti su Facebook, in assenza di coltivazione, di meditazione, riescano a spegnere l’inesorabile processo nucleare che sta portando all’autoannullamento degli uomini, mondati di ogni dimensione di profondità, distorti nelle identità. Semplificazioni fanciullesche. Vogliamo forse vivere tutto ciò come assunto? Quanti uomini e quante donne di destra potete rivedere perfettamente inermi – se non su un social – in questa descrizione? Alcuni profeti del vannaccismo? Senza confondere la buona fede con la sciatteria.

Dunque viene da chiedersi: la destra che uomo vuole? Essa vuole essere la forma di governo della mediocrità, promettendo liberazione? Non può alimentare mediocrazia. L’uomo conservatore, deve distinguersi, deve essere parte consapevole, vivo, acceso, lucido dell’emancipazione dal conformismo. Ma questo sogno di zucchero si scioglie presto se non si realizza una volontà formativa, o se la volontà formativa si subordina a quella speculativa, specie nell’epoca dell’estremo culto del capo, della personalizzazione e della leaderizzazione, appunto, di quel movimento/esercito personale che, come bande mercenarie rinascimentali, galoppa dal nord al sud alla ricerca di consegne.

Segugi, non seguaci

Occorre uno sforzo. Lo sforzo, anzitutto, di rieducare il proprio elettorato alla militanza – capace di parlare linguaggi nuovi – e alla cultura (politica) che non è un fondale sterile sullo sfondo delle nostre vite da influencer, ma atto primigenio per la maturazione civile e delle coscienze, e non solo a ritwittare il capitano di turno; un percorso di depurazione, che non è perdita di contatto col leader, ma un modo rinnovato di interpretare l’appartenenza, di essere partecipante appartenenza – combattendo col coltello fra i denti quell’illusione di partecipazione globale che è propria del mondo odierno – ad esempio, e non un segnale di gradimento virtuale, likes da sommare, prevedibile compitino che alimenta la sondocrazia, dove si vive costantemente nella vetrina dei dati, divenendo evanescenti.

Va ripreso urgentemente il territorio. E il territorio lo fanno gli uomini che traducono in una sintesi i grandi sistemi di pensiero applicati alle necessità quotidiane. Così come tanta sinistra ha fatto in anni di colonizzazione degli spazi, pur mutando, pur perdendosi, pur cambiando sigle e segretari, ma generando uno stargate perpetuo entro cui rinnovare la propria posizione predominante nella generazione della cultura di massa, attivo grazie a una rete fittissima di soldati pronti all’uso calata sulla quotidianità, fatta di artisti, docenti di liceo, professori universitari, bidelli, impiegati comunali, sindaci, Arci e contrarci. La destra deve poter permettere il controllo della rabbia sociale che esplode, non solo fornendo promesse di rivalsa – “se mi voterai, italiano, tornerai ad essere priorità” –, ma compiendo lo sforzo di formare uomini, non replicanti acefali o ciechi della volontà del capitano di turno; militi culturali, presidi territoriali di pensiero e di ragionamento sopra le cose. Indirizzare verso una strada formativa quanti compiono la propria rappresentazione acquistando il libro di Vannacci.

Nella coltivazione, (soprattutto) oggi, sta il militante

Chiusa la sezione e aperta la piazza virtuale, constatata la complessità e la velocità dello svolgimento dei processi di governo comune, condannati a morte i programmi politici, è impossibile pensare il militante di oggi come quello di ieri. Il militante dell’oggi è parte di una palestra di vita, dovrà essere un presidio “culturale” individuale, semovente; egli porterà con sé la convinzione nella propria visione del mondo, esistendo oltre la delega politica, combattendo la corruzione che questo ambiente disumano che spesso è il nostro presente vuole imporgli, contrastando la rete di ricatti, di facilitazioni ad uso personale, di difficoltà e miseria, di incoerenze che il sistema, come bassofondo londinese ottocentesco, pone a ogni angolo; assumendosi responsabilità, combattendo l’insistente canto delle sirene che lo chiamano a depotenziare se stesso in nome di un paradiso terreno con sette vergini disponibili e fiumi di latte e miele – un tempo sarebbe bastato chiamarlo posto fisso…

Il militante di oggi cerca una nuova modalità di aggregazione che dai luoghi passa al pensiero, divenendo egli stesso il luogo. L’integrità è il luogo del militante: nella propria integrità egli si rinnova e prosegue. Non è più, o raramente, il luogo fisico, infatti, a essere coesione, ma è solo lo stesso sentire ideale che avvicina militanti costretti a muoversi nei nonluoghi del neoreale, schivando fake news, combattendo la disinformazione, coltivando se stesso alla lettura, al rapporto col tempo per studiare e sentire le pulsazioni aritmiche dell’esistenza, nella ricerca di una reazione, nella fermezza della presa di posizione, nella capacità di sviluppare un proprio pensiero critico. Un percorso di militanza contribuisce a una coltivazione complessiva della coscienza critica dell’uomo, eleva il cittadino – che si affranca lentamente dalla definizione cittadino de iure, suddito de facto – rende consapevole e non liquido l’elettore, e conduce a frenare il nozionismo, l’aggregazione frettolosa e onanistica dei frammenti del presente rubacchiato qua e là tra un talk show, una mezza verità, il post del capitano e un articolo di un giornale online, che non permette la composizione di una sufficiente immagine culturale.

E quello che qui definiamo militante, con un termine desueto, è l’uomo indecente e libero che chiamiamo a raccolta contro non contro Vannacci ma contro il vannaccismo estremo. Un uomo integro, capace di coltivarsi – come processo di unificazione di studi e letture, meditazioni, intuizioni, dubbi fugati da certezze, frequentazione del reale, che dà vita a una visione del mondo ragionata, matura – di dedicarsi la vita e il tempo, di ragionare sopra le cose e di mantenere un contegno nel dibattito. Non un superuomo, non un predestinato, né una sporca nicchia di supereroi.

O questo verrà compreso, anche dal governo che, per replicarsi e avere il tempo reale di attuarsi e di lasciare un’eredità, dovrà occupare spazi, certamente, ma non prima di aver formato uomini integri e ragionanti, solidificati nella propria liquidità, alcuni dei quali destinati a una nuova classe dirigente, oppure ognun s’armi da sé nell’indecenza per lo spettacolo più pirotecnico possibile: l’autoannullamento degli uomini e lo spreco di certi processi d’innesco – l’acquisto di massa de “Il mondo al contrario” può esserne uno? –

L’uomo dell’indecenza, oggigiorno, è proprio quello dannunziano della Carta del Carnaro, colui che è “rifatto intiero dalla libertà”, che rimane integro, in un costante e vitale nutrimento offerto dall’esercizio di un pensiero critico, come più volte evocato, contro l’incarceramento dei sensi. Svestirsi dai precetti, affrancarsi dai capitani improvvisati, tornare sovrani di se stessi. Contro il vannaccismo estremo, reale o presunto, nascituro o abortito, chiamiamo a raccolta gli uomini indecenti, né più maturi degli altri, né inservibili profeti del nulla, ma ancora lucidi. E si sa: vincerà ogni guerra chi saprà mantenersi lucido.

Emanuele Ricucci

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