Roma, 24 dic – Donne e uomini “di garbo”, mercanti infidi, dottori che tramano alle nostre spalle. A distanza di quasi 200 anni dalla loro pubblicazione, leggendo o, se si ha la fortuna, assistendo alla messa in scena dell’opera “I due gemelli veneziani“, si sente in maniera quanto mai viva e polemica la critica che Goldoni rivolge alla società borghese della Serenissima tra ‘700 e ‘800.
Goldoni, celeberrimo commediografo, si trova in una città, Venezia, che ha perso il suo primato di centro culturale e soprattutto economico, a causa non solo di “affari andati a male” ma anche a causa di una dilagante corruzione morale dei cittadini veneziani.
In questa sua opera si può percepire chiaramente la perdita di valori, quasi del “mos maiorum” ciceronamente inteso, da parte della borghesia. Una classe sociale che, anziché distaccarsi ed ergersi socialmente e moralmente sull’aristocrazia, si affianca ad essa e la imita.
I protagonisti sono due gemelli veneziani, uno di nome Tonino che deve incontrarsi con l’amante Beatrice e uno, Zanetto, che deve sposare, invece, la ricca Rosaura e si ritrovano, a loro insaputa, entrambi a Verona. Tonino, a differenza di Zanetto, è di animo nobile, sveglio e arguto: si direbbe quasi un prototipo anticipatore dell’eroe romantico. Zanetto è un pochino più “tordo” del fratello, credulone e molto meno rispettabile per il suo atteggiamento volgare. Zanetto è la metafora perfetta del popolo, inerme e vulnerabile, che viene assuefatto dai “consigli” di questo o quel leader che vuole aggraziarselo per i suoi scopi malvagi. Questo corruttore di genti altro non è che Pancrazio, amico di famiglia di Rosaura, il quale cerca di convincere Zanetto ad abbandonare la ragazza descrivendola come una furia dagli occhi di fuoco e dal respiro velenoso. In realtà anche Pancrazio è innamorato della bella ragazza e altro non vuole se non allontanare l’allocco veneziano.
Per una serie di complicazioni, Tonino entrerà in contatto anch’esso con Rosaura e se ne innamora momentaneamente. Pancrazio allora interviene e, credendolo il gemello stolto, inizia a ricordagli tutti gli avvertimenti che gli aveva dato in precedenza. Tonino allora si indigna e risponde per le rime al suo antagonista. Il popolo, una volta che conosce la verità, che è pronto – insomma – moralmente a scegliere la sua guida, non si fa più lusingare dalle aspettative e dalle speranze che il populismo più becero ed infido gli sta rifilando ma si rivolta e lo abbandona a se stesso e alla sua retorica vuota.
Pancrazio preparerà la sua vendetta e ucciderà avvelenando il povero Zanetto (ritornato per caso nel momento in cui esce di scena Tonino). Tonino ritorna di colpo sulla scena e Pancrazio, credendolo Zanetto, è sconvolto: com’è possibile che sia vivo? Il gemello superstite rivela la sua identità, Pancrazio capisce di essere stato vittima di un malinteso ma nega fino in fondo di essere stato lui ad aver ucciso il fratello di Tonino. Per dimostrare la sua falsa innocenza beve dallo stesso calice avvelenato, morendo di conseguenza anche lui.
A distanza di quasi tre secoli, il capolavoro di Goldoni ancora mantiene intatta la metafora meravigliosamente chiara di qual è il meccanismo della propaganda e della libertà elettorale. Quello che muove la macchina politica è il parlare alla pancia del popolo per sfamarlo: il volgo sarà momentaneamente sazio ma non sa che, così, non ha fatto altro che condannare la sua libertà a favore dell’èlite governativa. Populismo non è persuadere il popolo, populismo è calarsi tra il popolo, ascoltarlo e valutare razionalmente ciò che vuole. Dare il pane al popolo serve a gran poco perché, nel momento in cui finirà e gli si daranno le brioches, sarà già troppo tardi.
Tommaso Lunardi