Roma, 23 set – È domenica. La giornata che, più di altre, si presta alla convivialità e condivisione di una tavola imbandita. Il “pranzo domenicale” è un tòpos: che varia, però. Da famiglia a famiglia, di regione in regione.
Almeno per ora, niente lasagne o cannelloni. Risotti o arrosti prelibati: adesso, si cucina avanguardista. Ne sarebbe ben lieto, Filippo Tommaso Marinetti. Che il 28 dicembre del 1930 pubblicò sulla Gazzetta del Popolo di Torino “Il Manifesto della cucina futurista“. Non solo ricette, ma teorie e sconvolgenti proposte: combinazioni mai osate, cibi sconosciuti, tecniche inedite.
Quella di Marinetti non era “semplice cucina”: ma sovversione dell’ordine, sgambetto all’abitudine. Provocazione ed esplosione epicurea: musica, poesia. Nuovi sapori, nuovi profumi. Marinetti intendeva scuotere i pigri: sonnacchiosi e ostinati divoratori del suo, odiatissimo “alimento amidaceo”. La pasta, ovviamente. Ma del resto, come dar torto agli “ostinati divoratori amidacei”? Impossibile.
L’intento di Marinetti e della sua cucina futurista fu comunque pregevole: un rinnovamento onnicomprensivo e non solo gastronomico. Audace, temerario e precursore dell’odierna Nouvelle cuisine, fu il cuoco francese Jules Maincave (che aderì al Futurismo nel 1914). Poiché annoiato dai “metodi tradizionali delle mescolanze, monotoni sino alla stupidità”, si prefissò di “avvicinare elementi separati da prevenzioni senza serio fondamento”.
Sulla nostra immaginaria tavola futurista, troviamo “rombi d’ascesa” (un risotto decorato con spicchi d’arancia), il famoso “carne plastico” (variante dei polpettoni di carne e verdure con l’aggiunta di miele), banana e groviera, aringa e gelatina di fragola. “Bocconi simultaneisti e cangianti“: a questa avveniristica esperienza ambivano, Marinetti e i suoi. Che non si limitavano a esperimenti e gastronomiche creazioni.
Pregevole la lotta agli inglesismi forsennati: italianizzazione, quindi, di un gergo fin troppo esterofilo. Così “cocktail” divenne “polibibita”: da consumare al “quisibeve” e non al “bar”. Il “sandwich” prese il nome di “traidue”, il dessert di “peralzarsi” e il picnic di “pranzoalsole”.
L’apice del successo la cucina futurista lo raggiunse con gli “aerobanchetti”. Memorabile quello organizzato a Bologna, nel ’31. Niente tovaglia, ma foglie di alluminio e piatti di metallo. Tavola a forma di aereo, con tanto di ali (fedelmente riprodotte) e una motocicletta, come motore. Dopo la portata “aeroporto piccante” (ovvero insalata russa), su quel “velivolo” venne servito il già citato “rombi d’ascesa”. Fu durante il bizzarro banchetto che Marinetti affermò: “Voliamo a ottomila metri: sentite come questo nutre e favorisce lo stomaco!”. Un “vogliamo il carburante!”, si levò dai commensali. Chiaro invito al buon Lambrusco, che annaffiò l’avanguardista pasto. Conclusosi, poi, con “la sveglia stomaco”, “l’alga spuma tirrena” e “il pollo d’acciaio” (un arrosto ripieno di confettini argentei).
Chiara Soldani
La cucina futurista: a tavola è una domenica diversa
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4 comments
Te la mangi poi te la cucina futurista
Ottimo: si va a prendere un caffè al QUI SI BEVE!
Un grandissimo Genio con la G maiuscola e un visionario,ma nemmeno la pizza di Cracco arriva a tanto…per digerire quei piatti serve Mastrolindo
concordo con la teoria marinettiana sulla pasta: non si addice agli stomaci italiani: il risultato è evidente.