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Quella democrazia digitale di cui non abbiamo bisogno

by La Redazione
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Roma, 1 giu – In una celebre canzone di inizio anni ’80 Franco Battiato esprimeva la sua nausea verso “quei programmi demenziali con tribune elettorali”. Le tribune elettorali, che furono una strana invenzione dei primi anni ’60, non facevano più gola nei cittadini, presi anche dall’avvento delle nuove emittenti private. Nell’Italia delle grandi riforme legislative e, purtroppo, delle stragi prima terroristiche, poi di stampo mafioso, la democrazia andava incontro all’ennesima trasformazione, portando con sé molte delle sue incertezze, fino ai giorni nostri.

Democrazia digitale, sondaggi, trasformazioni

Sicuramente la democrazia digitale è un effetto dello sviluppo tecnologico, ed essendo quest’ultimo, un fenomeno irreversibile, si arriva inevitabilmente ad applicarlo alla politica. In Italia esperienze di questo tipo non sono mancate: il caso più vistoso è sicuramente quello del Movimento 5 Stelle, con la piattaforma Rousseau. L’ultimo, in ordine, è legato alla vicenda della leadership del Movimento, ma negli scorsi mesi vi è stato un  “referendum” digitale su una dinamica governativa (ricordiamo il voto per l’autorizzazione a procedere nei confronti del Ministro Salvini, sul caso Diciotti).

Con questo sistema di “democrazia diretta” (Grillo nel suo programma parlava di e-democracy) si dà certamente la possibilità ai sostenitori di entrare nel vivo delle dinamiche politiche e partitiche. Ma pensiamo anche al cosiddetto bilancio partecipativo che da alcuni anni viene utilizzato in alcuni comuni dell’Emilia Romagna.

È chiaro che la direzione intrapresa si prefigge il proposito di creare più partecipazione, ma allo stesso tempo è doveroso chiedersi se sia questa la giusta strada da intraprendere per perseguire questo fine. Tali interrogativi vanno posti quando notiamo che, contemporaneamente all’era della democrazia digitale, il distacco tra cittadini e istituzioni si sia acuito maggiormente, con piazze sempre più vuote e un generale disinteressamento circa i grandi temi della politica.

Ciò può essere intercettato anche, e soprattutto, nei recenti sviluppi in termini di legislazione elettorale: sia nel Rosatellum bis, come già nel recente passato, si è tolta la possibilità agli elettori di designare il proprio rappresentante sulle schede, e questo porta con sé tutte le conseguenze del caso.

C’è poi l’esempio più eclatante, ed è quello relativo ai sondaggi, i quali sono tornati prepotentemente anche nelle recenti elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo.
Il giornalista Mark Herstgaard si è chiesto, a tal proposito, quanto possa contare il voto individuale in un’epoca in cui i risultati delle elezioni vengono incessantemente anticipati dai sondaggi televisivi. Infatti, riferendosi al caso americano, lo scrittore afferma che “500 americani vengono continuamente interrogati per dire a noi, cioè agli altri 250 milioni di americani, quello che dobbiamo pensare”.

La democrazia, in questo modo, prende anche una piega elitaria, andando a sfavorire tutti quei piccoli partiti extraparlamentari che, per ovvie ragioni. non hanno la stessa disponibilità economica dei grandi partiti tradizionali. Ma dobbiamo ricordare come, già nel 1921, Vilfredo Pareto tratteggiò il carattere elitario della democrazia come sua caratteristica naturale, anziché come degenerazione, nel saggio “Trasformazione della democrazia”. Vivendo la politica soltanto in prossimità del dibattito elettorale, poi, si favorisce l’avanzata di chi vive di politica, e non per la politica – dalla celebre distinzione di Max Weber.

Una democrazia malata?

Se la democrazia attuale è malata, certamente non si può delegare la responsabilità ad un presunto ritorno del fascismo: come ricordava l’eminente storico Emilio Gentile, intervenuto nella trasmissione “Bersaglio mobile” di Enrico Mentana nell’inverno del 2018, è il concentrare tutta l’attenzione verso un nemico – il fascismo appunto – che si finisce per ingigantirlo facendo perdere di vista le reali criticità della democrazia la quale, secondo un rapporto del 2018 della “Freedom House”  (un istituto di ricerca non governativo che studia lo stato di salute della democrazia), pare essersi svuotata dei suoi valori, anche nei paesi dove la stessa democrazia vanta decenni di consolidamento.

O forse, è proprio questo continuo interrogarsi sulla democrazia che genera le sue mille sfaccettature. Come pensa Giovanni Sartori: è proprio quando ci chiediamo quale sia la miglior democrazia possibile che, senza accorgercene, ci allontaniamo da ciò che essa è veramente.

Lorenzo Donatelli

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