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Difendo Cadorna! Caporetto cent’anni dopo, oltre le leggende (3)

by La Redazione
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Roma, 24 ott – Terza puntata della nostra contro-inchiesta storica sulla battaglia di Caporetto. Qui e qui è possibile leggere le prime due puntate.

L’attacco austro-tedesco alle linee della 2a Armata ebbe inizio alle due di notte del 24 Ottobre 1917, preceduto da un bombardamento con proiettili a gas (i cosiddetti Blauenkreutz, “croce azzurra”) e soprattutto dalle nuvole tossiche sprigionate dai lanciagas, i Gaswerfer, con bombole contenenti una miscela di fosgene e difenilcloroarsina in grado di bruciare in pochi secondi il tessuto polmonare, contro cui le maschere polivalenti degli italiani erano assolutamente inefficaci, e subito dopo da un violento fuoco preparatorio delle artiglierie.

Otto von Below potè annotare nel proprio diario:

24.X.1917

Siamo finalmente al giorno decisivo. A partire dalle 2 l’artiglieria nemica viene lavorata dai gas, mentre tutte le strade di retrovia, in fondovalle, sono battute dai cannoni a lunga gittata. Alle 6.30, in base ai piani, ha inizio il bombardamento delle linee nemiche, con i lanciamine le prime, con i cannoni le seconde.

L’artiglieria nemica reagisce debolmente in un primo tempo e dopo tace del tutto (…)[1]

Il bombardamento fu breve ed intensissimo, concentrato su una fascia di soli quattro-cinque chilometri: a Tolmino i tedeschi posizionarono un pezzo d’artiglieria ogni 4,4 metri lineari, una concentrazione senza precedenti sino ad allora su tutti i fronti.

Il bombardamento durò solo cinque ore, iniziando alle due del mattino del 24 ottobre, e calando d’intensità tra le quattro e mezza e le cinque e mezza, sin quasi a cessare, salvo riprendere intensissimo tra le sei e trenta e le otto e mezza del mattino

Quasi contemporaneamente al bombardamento mossero all’assalto le fanterie.

Si trattava di una novità per quanto riguardava il fronte italiano, dove i tiri d’artiglieria che precedevano gli attacchi erano di lunga durata, tendenti a saturare il terreno, ma che impedivano lo sfruttamento dell’effetto sorpresa: già nella battaglia di Riga nel settembre precedente i tedeschi prima dell’attacco sparavano salve violentissime ma di breve durata, cui seguiva a ruota l’assalto delle fanterie che irrompevano nelle trincee quando i nemici erano ancora intontiti e nei rifugi.

Mancò così la consueta preparazione d’artiglieria, prolungantesi a volte per giorni, e che consentiva di predisporre adeguate contromisure. Eppure, Cadorna aveva previsto tale possibilità nell’ordine del 10 ottobre, senza che Capello disponesse nulla in caso di una simile evenienza:

Il nemico[2] suole lanciare le fanterie dopo brevissima preparazione di fuoco: si tenga presente questa possibilità, e artiglierie e fanterie siano in ogni istante vigili e pronte a prevenire e a rintuzzare l’attacco.

Inoltre, il tiro d’artiglieria non si limitò a concentrarsi sulla fanteria, ma venne diretto anche contro le batterie italiane, ciò che non era avvenuto frequentemente sul fronte dell’Isonzo, dove sia le artiglierie italiane che austriache avevano sempre avuto come obiettivo la fanteria.

Nella breccia che si verificò nella linea italiana si gettarono le truppe d’assalto della 12a Divisione slesiana (Generalmajor Lequis), favorite, oltre che dalla nebbia, dall’infelice schieramento offensivo delle truppe della 2a Armata, e soprattutto dalla mancanza di collegamenti tra la fanteria e l’artiglieria italiane.

Al loro fianco la 50. Infanteriedivision austriaca del generale Gerabek attaccò le prime linee italiane dallo Sleme al Mrzli,e sfondatele, sotto una violenta nevicata puntò contro le seconde, che dal Kozilak scendevano a valle a sud di Ursno, impadronendosene e isolando il Mrzli.

Ancora il comandante tedesco von Below nel suo diario:

Adesso abbiamo anche la fortuna del tempo che ci viene in aiuto proprio là dove ci era sembrato contrario. Al riparo della nebbia i nostri comandi in sottordine incominciano di loro iniziativa ad uscire dalle loro trincee ed a portarsi avanti verso quelle nemiche, ancor prima dello scoccare delle 8 in modo tale da essere pronti a gettarsi dentro, subito dopo dell’ultima granata tedesca. In questo modo, alle 8, la nostra fanteria piomba contemporaneamente su tutta la fronte da attaccare, sfondando immediatamente e quasi senza colpo ferire la prima linea italiana, che era debolmente presidiata, per dirigersi subito contro la seconda.

Non era vero che le prime linee fossero debolmente presidiate: ma il bombardamento a gas aveva avuto esiti superiori anche alle aspettative del comando tedesco.

Quando gli austro- tedeschi raggiunsero le trincee italiane incontrarono uno spettacolo atroce. Ricorda Fritz Weber, tenente dell’artiglieria austriaca:

Avevamo già visto molte cose terribili, ma quello che si presenta ai nostri occhi in questa occasione supera ogni precedente spettacolo e rimarrà nella memoria per sempre. Laggiù, in ampi e muniti ricoveri e in caverne, giacciono circa ottocento uomini. Tutti morti. Alcuni pochi, raggiunti nella fuga, sono caduti al suolo, con la faccia verso terra. Ma i più sono raggomitolati vicino alle pareti dei ricoveri, il fucile tra le ginocchia, la divisa e l’armamento intatti. In una specie di baracca si trovano altri quaranta cadaveri. Presso l’ingresso stanno gli ufficiali, i sottufficiali e due telefonisti con la cuffia ancora attaccata, un blocco di fogli davanti, la matita in mano. Non hanno neppure tentato di usare la maschera. Devono essere morti, senza neppure rendersi conto di quanto stava succedendo.

Poco più oltre, raggiungiamo una caverna, il cui ingresso è mascherato da una fila di sacchetti di terra. Ci apriamo un varco e penetriamo nell’interno, facendo scivolare il cono luminoso delle nostre lampadine lungo le pareti umide. In fondo c’è una specie di magazzino di armi e di vestiario. Nell’angolo più interno c’è però un groviglio di cadaveri. Dall’oscurità emergono delle strisce gialle, dei volti lividi. Questi sì, che hanno sentito il soffio delle bombe a gas![3]

Le migliaia di caduti italiani vittime del gas Blauenkreutz e dell’artiglieria austro-tedesca furono il prezzo della disubbidienza del comando della 2a Armata all’ordine n. 4470 del 18 settembre, in cui Cadorna aveva disposto come

La difesa delle linee avanzate sia affidata a poche forze.

Verso le 8, mentre poderose mine esplodevano sul monte Rosso e sul Mrzli, il nemico lanciò le sue fanterie all’attacco contro le posizioni del IV e del XXVII corpo, con più deciso impeto nella conca di Plezzo e nel settore della testa di ponte di Tolmino. In breve, le linee italiane nella conca di Plezzo, nel tratto Sleme-Mrzli e nel settore di sinistra del XXVII corpo (19a divisione), furono travolte. In molti tratti le truppe italiane opposero resistenza, mentre altri reparti si arresero senza opporre resistenza, o opponendone poca. La brigata Friuli nella conca di Plezzo, le brigate Caltanissetta ed Alessandria sul Mrzli, la Ionio sullo Sleme si batterono bene. Prima di mezzogiorno, le truppe della conca di Plezzo, sopraffatte dal gruppo Krauss, erano in ritirata sulla stretta di Saga; la 12a divisione slesiana, sfondate le linee italiane nel tratto Gabrje-Selisce, avanzava rapidamente sulle due rive del fiume; il gruppo Scotti, impadronitosi del Krad Vhr e del costone di Cemponi, attaccava il Globocak. Nel pomeriggio, le sorti della giornata precipitavano, e le truppe tedesche del Gruppo Stein, ovvero il III Corpo d’Armata bavarese, cui apparteneva la 12a Divisione proveniente da Tolmino, sfondarono le linee italiane senza che le artiglierie intervenissero, e percorrendo la vallata dell’Isonzo con sicurezza quasi temeraria per il fondo valle, raggiungevano poco dopo mezzogiorno Kamno, alle 14 Idersko, alle 15 Caporetto, presa quasi senza sparare un colpo, e dove vennero catturati duemila italiani.

In giornata seguendo l’avanzata della 12a slesiana, l’Alpenkorps, travolte le truppe della 19a divisione italiana, si affermava sui due speroni di Costa Raunza e Costa Duole, con i quali la dorsale del monte Kolowrat si protende nella conca di Tolmino occupando tutto il versante orientale del Kolowrat, caposaldo della seconda linea italiana; alla sera dello stesso 24 dunque era già stata aggirata la destra della prima linea e di quella di resistenza italiane da Tolmino al Kolowrat, e venne superata anche la linea di Corpo d’Armata sino a Caporetto.

Il silenzio delle artiglierie del XXVII Corpo d’Armata fu motivo di fortissime discussioni. Il comandante del XXVII Corpo, generale Pietro Badoglio, si era riservato personalmente di ordinare l’apertura del fuoco alle proprie artiglierie, nel momento che egli avesse ritenuto più opportuno; ma il bombardamento austro-tedesco, iniziato alle due del mattino del 24 Ottobre interruppe i collegamenti fra il comando di Badoglio ed il comando dell’artiglieria di Corpo d’Armata.

Qualche batteria aprì il fuoco per iniziativa del proprio comandante, ma venne a mancare la grande azione balistica che avrebbe dovuto stroncare l’attacco germanico, ciò che, insieme al mancato collegamento tra il XXVII ed il IV Corpo d’Armata del generale Cavaciocchi, facilitò l’azione avversaria, cosicché il successo tattico iniziale si tramutò in successo strategico, in quanto l’inaspettata rapidità dell’avanzata delle truppe del Below impedì l’afflusso delle riserve della 2a Armata che avrebbero potuto contenere la penetrazione della 12a divisione slesiana.

La mattina del 25 ottobre a differenza del giorno prima, piovoso e grigio, si presentò ad Udine come bella e limpidissima.

Cadorna, dopo aver congedato alle 8.30 il Duca d’Aosta, cui aveva ordinato l’arretramento delle artiglierie di grosso calibro oltre il Tagliamento, chiamò vicino a sé il colonnello Gatti, invitandolo ad accompagnarlo nella sua solita passeggiata davanti alla sede del Comando Supremo in piazza Umberto I. Il Gatti scrisse che

…E’ il colloquio più grande che abbia mai avuto nella mia vita.

 Cadorna diede al colonnello Gatti un quadro d’insieme della situazione che è forse il documento più importante per comprenderne il pensiero dopo lo sfondamento in conca di Plezzo, straordinariamente lucido e privo di illusioni, ed fondamentale per i giudizi su persone ed avvenimenti. Il Generalissimo diede anche un quadro dei propri intendimenti strategici: l’abbandono della Bainsizza per evitarne l’accerchiamento e il ritiro, appena ordinato, delle artiglierie della 3a Armata al di là del Tagliamento (ovvero l’abbandono del Friuli) in vista del rischieramento oltre il Piave, che Cadorna avrebbe deciso la sera dello stesso giorno.

A prima vista, questo disastro può sembrare quello del Trentino. Ma non è. Questo è assai più grave. Nessun Napoleone potrebbe fare qualche cosa in queste condizioni. Non le pare? Me lo dica lei. La mia influenza personale non può estendersi a 2.000.000 di uomini. Anche Napoleone, nella campagna di Russia, non poté farla sentire. Truppe hanno ceduto, comandate dal generale Badoglio, delle più arditamente comandate. Non mi stupisco di quelle del IV Corpo. Il generale Cavaciocchi non mi aveva fatto mai buona impressione. (…)

Ora il segno del disastro del Trentino era, che un panico infrenabile, nei primi giorni, aveva preso le truppe: scarsità di truppe in prima linea, mal comando, ecc., avevano prodotto ciò. Ma era un panico: e dopo un solo anno di guerra: si poteva riparare, perché il corpo era buono. Ma il segno di questo disastro è la stanchezza. L’esercito, inquinato dalla propaganda dall’interno, contro cui ho sempre invano lottato, è sfasciato nell’anima. Tutto, pur di non combattere. Questo è il terribile di questa situazione.

Noi abbiamo perduto il Globocak. Chi mi dice che non giungano oggi al Korada? E si mi giungono al Korada, le truppe che ho sulla sinistra dell’Isonzo, sull’altipiano di Bainsizza, mi restano tutte tagliate fuori. In questa occasione io ho pensato tutta notte a ciò che devo fare.

Ho le truppe che non reggono, vergognosamente, ho uno schieramento sulla Bainsizza, che è pericolosissimo. Do l’ordine a queste di ritirarsi sulla linea Semmer, Fratta, Ossedric, Kuk, Vodic[e], M. Santo, e alla 3a armata di avviare le proprie batterie pesanti dietro il Tagliamento, con le 3 divisioni di riserva, prendendo essa armata, per il primo momento, lo schieramento dietro il Vallone [di Chiapovano].

Risulterà perciò il mio schieramento così: da nord, sullo Stol, sul Mia, sul Matajur, S. Martino, M. Hum, K ambresco, Ronzina, Fratta, Semmer, M. Kuk, Vodic[e], M. Santo, testa di ponte di Gorizia, Vallone [di Chiapovano].

Questo in un primissimo tempo, perché in un secondo voglio essere sulla destra dell’Isonzo, al Korada, Planina, Sabotino.

Poi penseremo: intanto, adesso, disimpegnarmi dal nemico.

Il 25 i tedeschi passarono l’Isonzo a Saga spingendosi verso il Monte Maggiore, mentre a nord la 10a Armee austriaca si spingeva verso il Tagliamento; il battaglione da montagna del Württemberg, al comando del tenente Erwin Rommel, il futuro Feldmaresciallo, conquistò il monte Matajur, tenuto da reparti della Brigata Salerno (89° e 90° fanteria).

Cadorna inviò in serata un telegramma catastrofico al generale Giardino, in cui si parlava di ben dieci reggimenti arresisi al nemico, il che non rispondeva a verità, coinvolgendo anche reparti annientati dai gas tedeschi, ed altri – come la Brigata Roma – che in seguito riuscirono a riportarsi nelle linee italiane:

Da: Comando Supremo a

S.E. il Ministro della Guerra, Gen. Gaetano Giardino

Udine, 25 ottobre 1917, ore 19.47

L’offensiva nemica ha ripreso sulla fronte Saga-Stol- Luico e sull’altopiano di Lom. L’attacco nemico è riuscito a Luico e ad Auzza.

Le perdite in dispersi e cannoni sono gravissime. Circa dieci reggimenti si sono arresi in massa senza combattere. Vedo delinearsi un disastro, contro il quale lotterò fino all’ultimo.

Ho disposto per la resistenza fino al limite del possibile, nei monti e sul Carso; ed ho predisposto, senza emanarlo, l’ordine di ripiegamento sul Tagliamento.

Prego informare Governo, avvertendo che non viene trasmesso complemento bollettino.

Generale Cadorna.

Quella sera Cadorna fu visto piangere, per la prima ed unica volta nella sua vita.

Nello stesso tempo l’ala sinistra dello schieramento austro-tedesco attaccò in direzione di Cividale; nella giornata del 26 Ottobre le truppe d’assalto germaniche, precedendo la 14a Armata di von Below, superate quasi tutte le posizioni difensive italiane, ed avanzando lungo le valli piuttosto che attaccare le cime tenute dagli italiani che restavano in tal modo isolate, sboccarono nella pianura friulana e occuparono prima Cormons e quindi oltrepassando il confine del 1866, Cividale, mentre gli austriaci della 10a Armata avanzarono lungo la val Fella in direzione della Val Tagliamento.

Alle 9 e 30 a Scrutto, frazione di San Leonardo, dove il monte discende verso il Friuli e l’Italia, il generale Giovanni Villani, comandante della 19 divisione, vedendo lo sfacelo della sua unità, si sparò alla tempia. Era stato l’unico comandante di divisione a dirigere le operazioni da una posizione avanzata, e si ritirava tra gli ultimi; preferì pagare di persona colpe non sue piuttosto che cadere vivo in mano al nemico[4].

Cadorna intanto ordinò il ripiegamento delle artiglierie della 3° Armata oltre il Piave ed il loro concentramento nel campo trincerato di Treviso, e l’arretramento dell’Armata del duca d’Aosta- che aveva respinto tutti gli attacchi delle truppe di Wurm e Boroevich- sulla linea del Tagliamento

A sera, il Generalissimo diramò un ordine del giorno destinato all’esercito, invitando alla resistenza:

 Esercito Italiano – COMANDO SUPREMO

 Ordine del giorno all’Esercito (da diramare fino ai comandi di compagnia)

Il primo urto sferrato dalle forze austriache e germaniche , ha dato al nemico sopra un settore della nostra fronte, degli improvvisi risultati per lui stesso inattesi.

Tale subitaneo cedimento della nostra linea in un punto vitale, per opera di truppe avversarie non preponderanti di numero, è solo spiegabile come conseguenza di un cedimento morale i cui terribili effetti gravano su quanti hanno sentito la loro responsabilità di uomini e soldati

Ma oggi lo smarrimento di chi non ha saputo combattere non deve propagarsi come uno stato d’animo deprimente in quanti lottano con valore. Che un falso sentimento della superiorità del nemico non ingeneri un falso sentimento di debolezza e quasi incapacità nostra a resistere.

L’ora è grave. La Patria in pericolo – ma il pericolo vero non sta nella forza del nemico quanto nell’animo di chi è pronto a credere che quella forza e invincibile.

Io mi appello alla coscienza e all’onore di tutti, perché come in giorni ugualmente gravi dell’anno passato, ciascuno riafferrando le proprie energie morali ridiventi degno della Patria. Ricordi ogni combattente che non vi sono che due vie aperte per lui e per il Paese: O la vittoria o la morte.

Nessuna esitazione, nessuna tolleranza.

I comandanti siano ferrei.

Ogni debolezza sia repressa senza pietà.

Ogni vergogna sia purificata col ferro e col fuoco. Rendo responsabili tutti i comandanti dell’esercizio inflessibile della giustizia di guerra per tener salda la compagine dell’Esercito. Chiunque non sente che sulla linea fissata per la resistenza o si vince o si muore , non è degno di vivere.

Ma l’appello supremo lo faccio al cuore generoso dei soldati di cui da due anni conosco il valore, la serena e paziente resistenza ai sacrifizi, l’eroismo di cui la nazione è fiera. Essi devono oggi rendersi degni dei loro fratelli che a Passo Buole, sul Novegno, sull’altopiano di Asiago, hanno detto al nemico: ”di qui non si passa”.

Dove i loro Capi diranno che si deve resistere, sentano che li si difende tutto ciò che di più sacro e di più caro hanno nella vita. Sentano nella voce dei loro comandanti la voce stessa dei loro vivi e dei loro morti , che chiede ad essi di salvare l’Italia .

26 ottobre 1917

Il capo di S.M. dell’Esercito

Cadorna

(continua…)

Pierluigi Romeo di Colloredo Mels

[1]           Otto von Below, in Fadini, Caporetto dalla parte del vincitore, cit., p. 242.

[2]           Cadorna intende i tedeschi.

[3]           Weber, Tappe della disfatta, tr. it. Milano 1993, p. 164. Le linee viste dal Weber erano le trincee presso Cezsoka, e i soldati appartenevano all’87° Reggimento fanteria Friuli.

[4]           Faldella, La Grande Guerra, II, cit., p. 238.

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