Roma, 8 set – Se si dovesse ragionare in termini politici e strettamente moderni, bisognerebbe oggi interrogarsi su quale sia la funzione primaria dello Stato.
L’instituzione statale, da Hobbes in poi, ha il compito primario di garantire la sicurezza e il godimento delle libertà ai propri cittadini. Per fare ciò, lo Stato si assume il compito di esercitare autorità e, in taluni casi, violenza per far rispettare le leggi e l’equilibrio sociale.
L’equilibrio sociale interno a uno Stato viene perturbato quando sorgono dei conflitti interni che non sono più regolabili secondo una forma agonistica ma si trasformano in aperto antagonismo. Quando ciò accade l’autorità politica interviene al fine di riportare la situazione alla tranquillità.
Evidentemente uno Stato che necessita di un crescente numero di leggi e cavilli riflette una debolezza intrinseca, una carenza di capacità ordinativa concreta, dovuta in primo luogo al realizzarsi di una società sempre più spoliticizata perché segnata da una vastissima moltitudine di interessi individuali, ciascuno impegnato a rivendicare il proprio “diritto”.
Ecco quindi che il moltiplicarsi dei diritti astratti provoca la fine del diritto concreto. Detto altrimenti, la politica reale – quell’attività umana che si occupa del bene comune, della cosa pubblica- cessa la sua funzione concreta con il farsi politica di ciò che non appartiene a quella sfera di competenza (sessualità, finanza, religione…). La politica perde la sua funzione quando i suoi scopi non sono più politici, ma morali. Cioè quando il singolo vale più del pubblico.
La forma politica statale entra in crisi con l’avanzata dei diritti individuali e la conseguente incapacità di metterli in forma, con l’impossibilità cioè di inserirli coerentemente e concretamente all’interno di un sistema non solo giuridico ma soprattutto politico. Carl Schmitt sosteneva che lo Stato è una forma di governo storicamente collocata e che può a un dato momento cessare la sua funzione. Quando i confini smettono di esistere, quando la sovranità interna diviene inefficace e dispersiva e viene pilotata da una autorità sovrastatale, evidentemente lo Stato cessa la sua vita e si entra nel regno di altre forme politiche.
Il progetto dello ‘Stato mondiale’ necessita una neutralizzazione politica radicale e per fare ciò persegue l’azzeramento delle differenze, quegli odiosi ricettacoli di distanza e opposizione. Quel che resta valido, sopra ogni legge e sopra ogni ‘patria’, sono i diritti dell’uomo, costruzione astratta che come ha giustamente sottolineato Guillaume Faye potenzia, attualizza e completa il discorso universalista evangelico. Di fatto ogni decisione politica deve sottostare alla reverenziale osservanza della Dichiarazione dei diritti dell’uomo.
Da questo punto di vista ben si comprende l’attuale incapacità degli Stati europei di fare fronte in qualsiasi modo all’ondata migratoria che sta investendo il Vecchio Continente.
Abolire i confini signfica abolire i limiti. E sebbene a un crescente senso di insicurezza si affianchi un abbassamento del livello di vita (reale o virtuale), in qualche comune della Germania orientale ci sarà sempre un sindaco turco pronto a sussurrare a qualche testa calda quale sarà il possibile centro di accoglienza per gli immigrati in arrivo. A chi e a cosa siano servite le distruzioni in stile buddhista (in Tibet i monaci distruggevano le fabbriche cinesi, secondo il principio che vieta di fare del male a esseri viventi…) degli appartamenti destinati agli immigrati è sotto gli occhi di tutti, ma questo non fa che peggiorare la situazione nel medio e nel lungo termine, dal momento che la ‘pubblica opinione’ vive solo nell’immediato, è emotiva e non vede al di là del proprio naso.
Senza una progettualità politica radicata, concreta, profonda, non solo lo Stato sparirà in quanto modo di organizzare e gestire la cosa pubblica, ma l’esistenza stessa dei popoli si esaurirà in un vociante termitaio di egoisti introflessi.
Francesco Boco
I diritti astratti sono la fine del diritto concreto
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