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Dopo trent’anni chiude la K-Flex: sarà delocalizzata in Polonia

by Emmanuel Raffaele
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K-Flex PoloniaMonza, 20 mar – “Il ministero ha prontamente attivato un tavolo di confronto”. Il vuoto politico, come al solito, si nasconde dietro espressioni dall’apparenza perentoria. Prontissimo ad attivare un tavolo, il governo, però, non si sogna neanche di andare oltre le chiacchiere e di affrontare il problema alla radice, come d’altra parte chiedono a gran voce i lavoratori.

K-Flex, azienda ormai multinazionale che produce e distribuisce isolanti termici ed acustici, nata nel 1989 a Roncello (MB), dopo quasi trent’anni di attività, altri dieci impianti ed oltre 2mila dipendenti in tutto il mondo, e dopo – soprattutto – milioni di euro incassati dallo Stato per lo sviluppo e la ricerca, si appresta a licenziare i 187 dipendenti del suo primo stabilimento per spostare la produzione in Polonia, dove già operano 250 lavoratori. Ma, secondo il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, che lo scorso 8 marzo in aula ha riferito nel merito della questione, rispondendo alla Camera dei deputati ad una interrogazione proposta da Giovanna Martelli (Democratici e Progressisti), “non si tratta di delocalizzazioni ma di produzioni a basso valore unitario, da realizzare necessariamente nei paesi di destinazione”. In altre parole, è impensabile accedere a quel mercato con i costi di produzione italiani, ma questo non avrebbe a che fare con la chiusura dello stabilimento italiano. Il che è semplicemente un inutile gioco di parole, poiché l’azienda, che oggi ha deciso di fermare la produzione in Italia, non smetterà certo di vendere nel nostro paese. Anzi, ha già annunciato che una cinquantina di dipendenti saranno ancora attivi in ambito commerciale e di ricerca. Se vogliamo chiamare le cose con il loro nome, quindi, parlare di delocalizzazione è più che lecito. E la questione, come anticipavamo, è aggravata dagli oltre dodici milioni di fondi pubblici che l’azienda ha percepito, dopo aver peraltro sottoscritto un impegno secondo il quale nel 2017 nessun posto di lavoro sarebbe stato a rischio.

“Quel documento fotografava una situazione che non è più quella attuale e che risulta ulteriormente complicata rispetto alla fine dello scorso anno”, spiega Amedeo Spinelli, presidente dell’impianto di Roncello in una intervista curata da Federica Signorini. E’ lo stesso ministro Calenda, però, ad evidenziare: “K-Flex non è un’azienda in crisi come si evince peraltro dagli stessi bilanci che mostrano investimenti in crescita”. Non c’è nessun imprenditore soffocato dai lavoratori che gli portano via il profitto. C’è soltanto un’azienda che ha pensato bene di sfruttare senza scrupoli i vantaggi del libero mercato ed un governo che, evidentemente, non ha tra le priorità quello di difendere i lavoratori italiani e, con essi, il nostro tessuto economico. Mentre in America il neopresidente Trump rifiuta i dogmi del liberismo in nome del “Made in America” e dell’ “America First”, l’Europa arranca in difesa di un modello in agonia.

Il governo, ha dichiarato in aula Calenda, potrà bloccare poco più di un milione di finanziamenti non ancora erogati. Ma, aggiunge, “per i precedenti due strumenti agevolativi [quasi 13 milioni di euro, ndr] sulla base dei regolamenti comunitari, non è previsto il mantenimento dell’attività produttiva in italia a seguito della conclusione degli investimenti“. Ed ecco il punto politico che lo stesso viceministro Teresa Bellanova, ex sindacalista, sottosegretaria al Lavoro nel governo Renzi – che pure attacca il comportamento dell’azienda tanto quanto il titolare del dicastero – non è in grado di centrare: è necessario cambiare quei regolamenti, è necessario vietare di incassare finanziamenti per investire in ricerca e sviluppo e poi pensare di licenziare quasi duecento lavoratori come se niente fosse per produrre altrove e continuare indisturbati a lucrare in Italia. Tutto questo non è pensabile e la soluzione deve per forza essere politica. Non si risolve la situazione implorando l’azienda di presentarsi ad un tavolo per concedere ai lavoratori meno di quanto gli spetta come fosse elemosina. “L’azienda ha l’obbligo di confrontarsi, ma non abbiamo strumenti per costringerla” (!), afferma del resto Bellanova, rivelando tutta la debolezza di un governo del tutto privo di autorità ed autorevolezza, dopo che l’azienda, per la seconda volta, ha disertato l’incontro a Roma con i sindacati. «Non avendo novità da comunicare riguardo alla propria decisione di cessare l’attività produttiva del sito di Roncello già espressa e confermata nel corso dell’incontro del 3 marzo scorso, K-Flex non parteciperà all’incontro», ha spiegato l’azienda, in una nota senz’altro più onesta delle inutili “sculacciate” governative all’azienda, alle quali segue poi il nulla di fatto e lo spettro degli ammortizzatori sociali come unica soluzione. “L’assenza dell’azienda ha impedito il confronto tra le parti”, “una chiusura irresponsabile“, ha aggiunto il viceministro, che peraltro avanza dubbi inquietanti sulle modalità di assegnazione dei finanziamenti pubblici: “continueremo gli approfondimenti per capire se le risorse sono state utilizzate per le finalità per le quali erano state erogate“.

Ma, chiacchiere a parte, del tutto reali sono invece i circa 13 milioni di euro che la K-Flex ha già avuto dal Ministero e gli oltre venti avuti dalla Simest, società della Cassa Depositi e Prestiti per ben cinque operazioni di aumento di capitale. Reali quanto la durissima situazione in cui, nel frattempo, si trovano i dipendenti, in sciopero permanente dal 24 gennaio scorso con la prima busta paga senza retribuzione in arrivo. Una pagina Facebook, “Esuberi K-Flex”, racconta il loro dramma e prova a raccogliere fondi che gli permettano di continuare la loro lotta. Tra i post, uno in cui si legge: “Le aziende che prendono soldi dallo Stato italiano e poi vanno all’estero, devono diventare fuorilegge“.
Amen.

Emmanuel Raffaele

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