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Ecco perché chiudere i confini è più umano che aprirli

by Valerio Benedetti
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Roma, 23 apr – Sta facendo molto discutere l’azione simbolica che i ragazzi di Generazione identitaria hanno operato sul Colle della Scala. Nell’ambito della loro campagna Defend Europe, gli identitari hanno cioè «chiuso» con una rete di recinzione quel tratto del confine italo-francese che è diventato il nuovo punto di transito dei clandestini. A questa azione sono poi seguite le proteste degli antifascisti francesi e dei No Tav italiani, che sono sfociate anche in scaramucce con la gendarmeria transalpina.

Generazione identitaria Colle della Scala

L’azione di Generazione identitaria sul Colle della Scala


I media mainstream, per l’ennesima volta, hanno riportato la notizia accusando il «gruppo di estrema destra» di seminare odio, xenofobia, razzismo e via calunniando: ormai sono un disco rotto. Ma questo in realtà lo sapevamo già. Quello che invece è più importante evidenziare è l’innegabile forza simbolica dell’azione degli attivisti di Gi. Una forza che – al di là delle simpatie per Generazione identitaria – investe tutti coloro che vedono nel confine un’entità positiva, intesa nella sua duplice accezione concreta e metaforica.
La frontiera, in effetti, non implica necessariamente alcuna violenza, alcuna discriminazione preconcetta, come vorrebbero i paladini no borders. Al contrario, i confini rappresentano l’emblema di un ordine umano contrapposto al caos naturale, o meglio naturalistico. I confini, in altre parole, non sono affatto «disumani», ma sono invece la quintessenza di un ambiente «civile», «umano» per l’appunto. Ciò che è «civile» ha a che fare con la civitas, con la città, con un cosmo sottratto alla natura indifferenziata. E dove c’è la città, dove l’uomo ha dato un ordine al caos primigenio, ci sono anche le mura, le porte, i cardini, i cippi, i limiti. Delimitando lo spazio, l’uomo crea il suo mondo, investe di senso una terra nullius.
Questo discorso non implica affatto che i confini siano immutabili e imperforabili. Tutti accolgono un ospite nella propria casa oppure varcano la soglia di un’abitazione altrui. Lo stesso succede con le frontiere di uno Stato straniero. Ma questo viene fatto sempre mantenendo chiarezza sul discrimine tra il «mio» e il «tuo», tra un «noi» e un «loro». Perché dove ci sono i confini, lì c’è ordine e «umanità», cosmos e ospitalità. Dove non ci sono, lì regna invece il caos e l’anarchia, la confusione e l’ostilità. In latino la coppia hostis/hospes ha sempre rimandato alla doppia natura dell’estraneo, ossia quella dell’ospite e quella del nemico («ostile»). Dove ci sono i confini abbiamo sempre la possibilità di discernere l’ospite da accogliere dal nemico da scacciare. Dove mancano, al contrario, non può che vigere l’intrinseca «disumanità» di un caos indifferenziato e la ferina legge del più forte.
Valerio Benedetti

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