Home » Ennio Morricone, un Oscar tardivo al maestro italiano “mai comunista”

Ennio Morricone, un Oscar tardivo al maestro italiano “mai comunista”

by Carlomanno Adinolfi
1 commento

oscarmorriconeRoma, 1 mar – Finita l’ansia per l’Oscar a Di Caprio, atteso per 23 anni e sempre visto immeritatamente sfumare, i fan italiani si sono potuti dedicare con più passione e orgoglio all’Oscar vinto da Ennio Morricone per la colonna sonora creata per il film di Tarantino The Hateful Eight. Anche se la notizia che più ha fatto scalpore è stato lo “scoprire” che il compositore romano non aveva mai vinto un Oscar per la miglior colonna sonora, ma soltanto uno alla carriera nel 2007. Gli italiani di fatto lo hanno scoperto ora, al suo primo Oscar vinto, perché inconsciamente tutti hanno sempre creduto che ad ogni sua creazione gli fosse stato corrisposto un premio quasi per diritto divino, per suggellare un’ovvietà tanto palese da sembrare scontata: l’acqua bagna, il fuoco scalda e Ennio Morricone è il genio assoluto e indiscusso della storia della musica cinematografica. Quindi scoprire che l’Oscar non gli sia stato dato semplicemente ad honorem e senza neanche bisogno di un’inutile disputa con altri candidati per tutte le colonne sonore capolavoro che ha creato, da Mission a C’era una volta il West, da Giù la Testa a C’era una volta in America, passando per Nuovo Cinema Paradiso, Gli Intoccabili e la “trilogia del dollaro” di Sergio Leone, è stato come scoprire qualcosa che fa rivedere le proprie convinzioni sulle leggi che regolano il mondo.

Ed è servito questo Oscar tardivo – e a questo punto del tutto inutile, visto che fa diventare il compositore romano uno dei tanti invece che il maestro di tutti – per far scoprire degli aspetti di Ennio Morricone che nessuno si aspettava. Visto spesso dai più come un artista del gotha dell’intellighenzia di sinistra, l’artista romano ha fatto cadere più di un luogo comune in un’intervista che ha concesso a Il Corriere della Sera in occasione della sua vittoria, negando la sua appartenenza politica a movimenti e partiti particolari e soprattutto lanciando frecciate a politici che la vulgata politically correct ha marchiato “buoni” e spendendo lodi invece per quelli “cattivi”.
«Non sono mai stato comunista, né socialista. Ricordo Togliatti nel ’56 appoggiare l’invasione dell’Ungheria, spiegando con la sua vocetta che l’intervento dei carri armati era stato richiesto dal governo di Budapest: ma si sapeva che non era vero! Sono cattolico, nella Prima Repubblica votavo democristiano. Ho ammirato De Gasperi. Ho condiviso il progetto di Moro di aggregare al centro le forze popolari. Avevo un’alta concezione di Craxi. E ho sempre stimato Andreotti. Il cinema italiano era tutto di sinistra. L’unico film “di destra” fu quello che feci con Maurizio Liverani, il critico di Paese Sera: si chiamava Lo sai cosa faceva Stalin alle donne?, era una satira anticomunista. Non ebbe molto successo. Con Sergio Leone non abbiamo mai parlato di politica. Giù la testa però è un film politico, su terrorismo e rivoluzione»

Anche sul fascismo Morricone ha un giudizio poco lapidario che non si lascia andare ai soliti cliché negativi.
«Nella mia famiglia, il fascismo non l’abbiamo vissuto come un dramma. Però quando il Duce annunciò la dichiarazione di guerra mia madre, che lo ascoltava alla radio, scoppiò in lacrime, e io con lei. Mio padre suonava la tromba. Non eravamo poveri, ma con la guerra arrivò la fame. La notizia della morte del Duce mi lasciò indifferente. Però quando vidi le sue foto, appeso al distributore di piazzale Loreto, mi commossi
Quello che però viene fuori tra le righe della sua intervista è l’amore incondizionato per la storia del nostro Risorgimento, per la sua eredità popolare e nazionale e per il suo valore eroico e simbolico.
«Piansi anche per il re, quando perse il referendum e fu costretto all’esilio. Certo, sapevo che Vittorio Emanuele III se l’era squagliata, ma per me la monarchia era l’Italia del Risorgimento, che finiva per sempre» e ancora: «Il mio sogno è sempre stato reinterpretare l’inno di Mameli. L’ho realizzato per Cefalonia, il film per la tv: una versione più lenta, solenne. Ma quando diressi al Quirinale il cerimoniale mi bloccò. Tempo prima un consigliere di Ciampi era venuto a chiedermi un parere sull’inno. Risposi che musicalmente non vale l’inno francese, tedesco, inglese, russo; anche se per noi ha un valore simbolico che riguarda il nostro Risorgimento
Un “per noi” che vorrebbe abbracciare tutti gli italiani, come se il valore che l’inno e la storia risorgimentale hanno per l’Italia fosse una cosa scontata per tutti quanti. Scontata come il fatto che lui avrebbe dovuto vincere un Oscar per ogni sua composizione, d’altronde. Ma sappiamo tutti poi com’è andata.

Carlomanno Adinolfi

You may also like

1 commento

Paolo 2 Marzo 2016 - 11:56

Il fatto che glielo abbiano dato solo adesso, è motivo per capire che quel premio, come il Nobel, sono un’autentica presa in giro. Se pensiamo al Nobel per la pace ad Obama, si può solo ridere, anzi piangere, per tutti i morti che le sue guerre hanno causato. Diciamocelo pure, la vita è tutta una presa in giro…quelli presi in giro ovviamente siamo noi e la cosa più triste è che tantissimi non s’accorgono…sono i conformisti.

Reply

Commenta

Redazione

Chi Siamo

Il Primato Nazionale plurisettimanale online indipendente;

Newsletter

Iscriviti alla newsletter



© Copyright 2023 Il Primato Nazionale – Tutti i diritti riservati